Moderatamente incoraggiante, così si potrebbe definire lo scenario macroeconomico delineato per il prossimo futuro dagli economisti dell’Intesa San-Paolo, per i quali, sotto diversi aspetti, sono state gettate le basi per una svolta nell’economia mondiale.
Le parole del presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, hanno chiarito ai mercati che la stagione pluriennale dei tassi zero e della liquidità sovrabbondante sta entrando nella sua fase finale. Per quanto i tempi di rientro siano lunghi, ciò ha riportato lo scenario di normalizzazione entro l’orizzonte operativo dei mercati, scatenando una prima fase di aumento dei tassi a medio e lungo termine. il ritorno dei tassi reali a medio e lungo termine su livelli positivi non rende le condizioni finanziarie in alcun modo restrittive.
La minor crescita della base monetaria sarà probabilmente compensato da un rialzo dei moltiplicatori monetari, oltretutto la Fed si è inequivocabilmente resa disponibile ad una proroga dello stimolo ai primi segnali negativi. La crescita dovrebbe accelerare anche per la contrazione del contributo negativo della spesa pubblica, volto a ridurre il deficit atteso di 4 punti di PIL nell’anno fiscale 2013.
Nel resto del mondo, la futura svolta di politica monetaria degli Stati Uniti avrà due effetti opposti: da una parte, il rafforzamento del dollaro dovrebbe rendere la produzione estera più competitiva; dall’altra, però, vi saranno effetti negativi sulle componenti di domanda sensibili ai tassi di interesse, come effetto della correlazione fra curve dei tassi: da inizio maggio, il rendimento del decennale tedesco è salito di oltre 50pb, contro gli 88 del decennale statunitense. E, come si è visto nelle ultime settimane, è improbabile che nei paesi della periferia europea il rialzo dei tassi sia automaticamente compensato da un calo dei premi al rischio.
Nell’Eurozona si sta comunque già assistendo ad un calo della base monetaria, normalmente preludio a un possibile rialzo dei tassi. La peculiarità della situazione europea sta però nel fatto che la riduzione non avviene per una scelta deliberata della Banca centrale di drenare liquidità, ma per un calo della domanda di riserve da parte delle banche. Queste ultime stanno restituendo spontaneamente riserve in eccesso accumulate con le operazioni di rifinanziamento a lungo termine del 2011 e 2012, e il calo della base monetaria è compensato da un aumento dei moltiplicatori; la dinamica del credito, in effetti, è frenata da carenza di domanda e dalla volontà di non creare sofferenze, e non più da problemi di liquidità o capitale.
Per quanto riguarda la crisi del debito, nonostante non possa ancora dirsi superata, il progressivo “spegnersi” dei focolai di crisi (il completamento delle negoziazioni sul bail-in a Cipro, lo sblocco dell’impasse politica in Italia, l’allungamento delle scadenze sui prestiti concessi a Irlanda e Portogallo, oltre alla concessione di più tempo per la correzione fiscale a diversi altri Paesi) ha consentito un deciso calo della probabilità di evoluzione in senso “estremo” delle difficoltà.
In Giappone lo stimolo fiscale è destinato invece a prolungarsi, con l’obiettivo finale dichiarato di un tasso di inflazione del 2%. Se l’obiettivo dichiarato sia anche quello ufficiale, lo si potrà verificare se e quando l’inflazione arriverà in zona critica: allora emergerà il contrasto fra gli obiettivi di politica monetaria e l’esigenza di garantire la sostenibilità del debito pubblico. Almeno la crescita sembra consolidarsi, grazie al sostegno dei consumi e dell’edilizia residenziale.
Tuttavia lo stimolo quantitativo giapponese non è un perfetto surrogato di quello statunitense, come si è visto anche nelle ultime settimane. Per quanto sia ragionevole attendersi una tendenza ad aumentare l’esposizione verso i mercati esteri da parte degli investitori nipponici, è improbabile che sui mercati europei ciò possa compensare l’effetto restrittivo del rialzo dei tassi americani.
Fra gli emergenti, stanno aumentando i problemi di controllo macroeconomico in Brasile e Cina. Le previsioni di crescita cinese sono state tagliate, come riflesso dell’incerto andamento di questi mesi e dell’adozione di misure restrittive sul fronte della liquidità. Per gli altri Paesi emergenti, la prospettiva di un aumento dei tassi sul dollaro è negativa. Tuttavia, il drastico miglioramento della struttura finanziaria rende poco probabili crisi come quelle che accompagnarono il ciclo di rialzo dei tassi Fed degli anni Novanta, anche se molta attenzione dovrà essere dedicata ai fondamentali specifici.
Sul fronte delle materie prime è atteso un processo di “normalizzazione” ovvero di ritorno ai fondamentali di domanda e offerta come principale criterio di guida dei prezzi. Dopo gli eccessi degli anni scorsi sembra farsi strada la consapevolezza dell’insostenibilità dei tassi di crescita sperimentati dai paesi emergenti e della difficoltà che la liquidità continui a ricoprire il ruolo di primo piano assunto finora.