Con due mosse a sorpresa, Matteo Renzi ha cambiato il corso della politica italiana: ha evitato che l’Italia entrasse in rotta di collisione con l’Europa e ha riaperto la via ad un vero bipolarismo.
Il primo risultato poteva essere ottenuto soltanto isolando Salvini e ciò era possibile solo favorendo la formazione di un “governo di scopo” fra PD e 5 Stelle. Confesso che quando Renzi avanzò questa proposta la mia prima reazione fu di ripulsa. Consideravo allora e considero tuttora i 5 Stelle come un pericolo per il paese e come una seria minaccia per la democrazia rappresentativa. Ma devo dare atto del fatto che è bastata la formazione del governo giallo-rosso per bloccare la deriva antieuropea di Salvini.
L’Italia è ora più saldamente ancorata all’Europa, abbiamo un commissario europeo autorevole, Gentiloni, abbiamo un Presidente del Parlamento Europeo italiano e abbiamo due ministri, all’economia e agli affari europei, entrambi capaci, affidabili e convintamente europeisti. Non è poco! Onestamente meglio di cosi non poteva andare. Certo, è possibile che tutto ciò che di buono il governo Conte bis poteva dare lo abbia già dato, tutto e subito, e che, per il resto, sarebbe meglio non facesse nulla per evitare di fare danni. Può darsi che le cose stiano così, ma per il momento accontentiamoci dello scampato pericolo.
Il risultato più importante per il paese è però il secondo. La scelta di Renzi di promuovere la nascita di una nuova formazione politica limpidamente riformista ed europeista, progressista e democratica, aperta all’innovazione e alla modernità; una formazione che non guarda al mondo con dispetto e che non teme la globalizzazione perché ambisce a governarla, è davvero una buona notizia per l’Italia soprattutto perché contrasta la tendenza in atto ad una radicalizzazione in senso contrario del bipolarismo Italiano.
Il bipolarismo non è morto, come molti commentatori ritengono. La vittoria dei 5 Stelle (cioè di un partito non partito) nelle scorse elezioni non ne ha decretato la fine. Più semplicemente ha innescato un radicale processo di riorganizzazione del sistema politico, sia a destra che a sinistra. Processo che è appena iniziato e che nessuno può dire con certezza come si concluderà. Quello che si può ragionevolmente dire è che, al momento, la tendenza in entrambi i poli è verso una loro radicalizzazione (sovranisti a destra, populisti a sinistra) ed è precisamente questa spirale negativa per il Paese che l’iniziativa di Renzi tenta di fermare.
Il centrodestra, una volta a guida moderata e conservatrice ma sicuramente europeista, si sta trasformando in un polo a trazione sovranista, mentre il centrosinistra, sino ad ieri guidato dai riformisti, vede oggi prevalere al suo interno posizioni populistiche, specialmente in materia di ambiente, di stato sociale e di giustizia. Questa doppia radicalizzazione, sovranista da un lato e populistica dall’altro, non è un bene per il paese e non apre nessuna prateria per le forze centriste, moderate e riformiste. Al contrario: rischia di annichilirle, e per questo va contrastata, in Europa come in Italia.
Il sovranismo non lo si sconfigge a livello nazionale. Lo si sconfigge soltanto se l’Europa dimostra davvero di essere in grado di risolvere le due grandi questioni che lo alimentano: l’emigrazione e la crescita. Spetta alla nuova commissione Europea muoversi da subito in questa direzione segnando una netta discontinuità con il passato. Se lo farà, se dimostrerà che l’emigrazione si può governare in modo civile, umano ma anche efficace e che si può tornare a crescere allora il consenso populista refluirà, sempre che il governo nazionale non remi contro.
Più difficile, invece, è contrastare il populismo perché questo compito spetterebbe innanzitutto alle forze della sinistra le quali ne sono, però, seriamente contagiate. Nel Pd, soprattutto adesso che Renzi se ne è andato, prevalgono coloro che considerano il governo con i 5 Stelle, non come una parentesi temporanea, necessaria per fermare Salvini ma destinata a finire in breve tempo, bensì come una vera e propria “fase costituente”: come l’occasione per dare vita ad un nuovo soggetto politico che, a detta di Franceschini, di Boccia (cioè Emiliano) e di Bettini (mentore a suo tempo dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino) potrebbe nascere dalla confluenza sociale, politica e persino culturale delle due forze. Si tratta di un terribile abbaglio, che conferma soltanto l’estrema fragilità, porosità e inconsistenza della cultura politica del PD.
Il Pd è il frutto mai realmente maturato della confluenza di due correnti culturali, quella degli eredi di Berlinguer e quella degli eredi di Dossetti, nessuna delle quali realmente riformista. Berlinguer e Dossetti sono stati due grandi italiani, ma nessuno dei due era un riformista e definirli tali oggi è fare loro torto. Il Pd è stato riformista suo malgrado soltanto quando, grazie alle primarie, ne ha preso la guida Renzi. Un estraneo, che come tale è sempre stato considerato.
Ora che Renzi se ne è andato e che il freno riformista si è di molto indebolito l’ipotesi di un lento scivolamento del Pd sul terreno proprio dei 5 Stelle (ambientalismo, anti industrialismo, assistenzialismo, giustizialismo, etc.) è assai probabile. E’ difficile che il Pd di Franceschini, di Boccia e di Bettini lo contrasti vigorosamente. E’ assai più probabile che avvenga il contrario e che siano i 5 Stelle a fare al Pd quello che Salvini ha fatto a loro, e cioè a fagocitarli e ridimensionarli.
E’ scontato questo esito? Forse no, ma a due condizioni: che i riformisti che sono restati nel Pd contrastino con fermezza la tendenza a fondersi o confondersi con i 5 Stelle e che coloro che affiancano Renzi nella sua nuova impresa resistano alla tentazione di dare il Pd per perso alla causa del polo riformista ed europeista. In entrambi i casi quello che serve non è alzare i toni della polemica quanto piuttosto aggiustare il tiro del confronto politico e, soprattutto, culturale.
Cruciale sarà ovviamente il confronto sulla riforma elettorale. La soluzione migliore per il Paese sarebbe il maggioritario, possibilmente a doppio turno. Oggi però il vento sembra spirare in una diversa direzione. Anche per questo sarebbe importante che i riformisti, ovunque collocati, nel centro, a sinistra o a destra, cercassero di definire una scelta comune.