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Renzi, la tv, l’informazione degenerata e il mestiere del giornalismo

Le polemiche del Premier contro i talk show hanno dato il via a una discussione lunare che dimentica completamente l’abc del giornalismo, la cui imparzialità e professionalità non si misurano dallo spazio concesso alle opposizioni ma da serie analisi e inchieste sul campo (non nel Palazzo) su ciò che, nel bene e nel male, il potere fa: senza pregiudizi.

Renzi, la tv, l’informazione degenerata e il mestiere del giornalismo

E’ un classico caso di come passare dalla ragione al torto. Le risposte di giornalisti e commentatori agli attacchi di Matteo Renzi e di un certo on Anzaldi all’informazione televisiva (e non solo) sono stati rintuzzati con argomenti che dimostrano che i giornalisti hanno ormai perso il ricordo dell’ABC del mestiere, confondono le pere con le mele, e finiscono per dare ragione a quanti criticano, sia pure in maniera sbagliata e pericolosa, il sistema dell’informazione. 

Ieri sera Massimo Giannini conduttore di Ballarò, ha iniziato la trasmissione con un editoriale in cui criticava aspramente la recente legge delega approvata dal Parlamento per regolare la pubblicazione sui mezzi d’informazione delle intercettazioni telefoniche ordinate dalla Magistratura. L’obiettivo è quello di evitare che persone che nulla hanno a che vedere con i presunti reati sotto indagine, e verso le quali non c’è l’avvio di alcun procedimento giudiziario, possano essere messi alla berlina tramite la pubblicazione di loro frasi o deiloro silenzi (come è capitato di recente al Governatore siciliano Crocetta). 

E’ una semplice esigenza di civiltà che è stata trascurata per troppo tempo e che inoltre ha consentito a certa Magistratura di sostituire al dibattimento nelle aule dei tribunali, un vero e proprio processo mediatico. Ebbene Giannini come ha affrontato l’argomento ? Dicendo che il pubblico ha il diritto di sapere certi segreti dei potenti. Se fosse stata in vigore questa legge – ha argomentato Giannini – il pubblico non avrebbe potuto leggere le esilaranti telefonate che precedevano o seguivano le “cene eleganti” di Berlusconi, oppure le conversazioni tra l’allora ministro Cancellieri e la famiglia Ligresti, o, infine, le chiacchiere tra il faccendiere Incalza (ma che faccendiere, era un alto dirigente del Ministero dei Lavori Pubblici) ed il ministro Lupi che poi fu costretto alle dimissioni. 

Ebbene, a parte le cene eleganti che portarono ad un processo basato però su altri elementi e non tanto sulle intercettazioni più piccanti, negli altri casi non è stato ravvisato alcun reato legato a quelle intercettazioni a dimostrazione che si trattava di atti non pertinenti con le indagini allora in corso. Incalza venne arrestato, ma non per le telefonate con il ministro Lupi, ma sulla base di altri indizi. Posto quindi che in moltissimi casi la pubblicazione delle intercettazioni non ha alcuna attinenza con i procedimenti giudiziari, Giannini confonde il diritto del pubblico ad essere informato ed il lavoro del giornalista che non può basarsi sulla ricerca della verità con lo spionaggio telefonico che è proibito a meno che non sia esplicitamente autorizzato da un giudice. Il ruolo del giornalista non è quello di fare la posta di fronte alla stanza dei magistrati, o peggio dei vari “servizi”, ma quello di fare inchieste, di sentire le persone coinvolte, di spulciare i bilanci e di inchiodare i potenti di turno alle loro responsabilità. Ed infatti, ad esempio, lo scandalo delle “cene eleganti” venne alla luce prima che dalle intercettazioni, da una intervista proprio di Repubblica ad una escort barese.

Ancora più strampalata la tesi di Antonio Polito il quale tenta di difendere il Tg3 dagli attacchi (per la verità un po’ sguaiati) dei renziani, affermando che il pubblico della Terza rete Rai vuole sapere cosa non va nel Paese e non certo i successi veri o presunti del Governo, anche se questo è presieduto dal segretario del PD. Ma il problema sta nel fatto che le cose che non vanno, e sicuramente sono tante, non vengono dalle opinioni ripetutamente espresse dalle opposizioni interne al PD o da quelle esterne, ma da indagini serie dei giornalisti, da servizi capaci di raccontare la realtà ed i successi o gli insuccessi del Governo per cambiarla. Far parlare ripetutamente gli oppositori vuol dire solo enfatizzare opinioni diverse da quelle del Governo, opinioni che possono essere altrettanto lontane dalla realtà di quelle dei ministri di turno.

Ancora una volta quindi è questione di professionalità giornalistica e di etica dei professionisti dell’informazione che devono essere “terzi” rispetto al potere e non semplici cinghie di trasmissione, collegate a questo o quel gruppo politico. Anche Renzi sbaglia ad attaccare direttamente i giornalisti. Quando faceva il rottamatore aveva promesso di liberare la RAI dal peso soffocante dei partiti. Ma ora se si comporta come tutti i precedenti politici, entra in una grave contraddizione e dimostra di volere anche lui una informazione asservita al potere e non un giornalismo libero ed al servizio dei cittadini.

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