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Renzi e Letta nella bolgia di populismi e forconi

Il quadro politico nel quale opera il governo resta precario, le riforme per ora non si vedono, ma non ci sono alternative per contrastare forze irresponsabili che, non a caso attaccano soprattutto il Quirinale, in quanto garante della stabilità del Paese.

Renzi e Letta nella bolgia di populismi e forconi

Non è la prima volta che la politica si trova a dare il peggio di sé negli ultimi giorni dell’anno con Parlamento e Governo sottoposti alle pressioni di un lobbismo sempre più spregiudicato e irresponsabile. Capitava quando c’era la legge finanziaria e provvedimenti connessi. Capita ora che c’è la legge di stabilità accompagnata da decreti altrettanto connessi come il cosiddetto salva Roma. 

Quello che però è certamente peggiorato all’indomani del ventennio berlusconiano è il quadro politico generale, nel quale un tempo si affrontavano anche duramente partiti di destra, di centro e di sinistra. Oggi invece a contrapporsi non sono più i partiti. Soltanto il Pd ha il coraggio o l’ingenuità di continuare a chiamarsi così. Per il resto ci sono movimenti per lo più populisti che spaziano tra destra e sinistra senza mai passare per il centro. Il quale, peraltro, dopo l’insuccesso elettorale di Scelta civica e le conseguenti frammentazioni, è praticamente inesistente. 

Questi movimenti sono in primo luogo i grillini di Cinque stelle, nati come contestazione a sinistra della sinistra tradizionale ed ora sempre più impegnati in battaglie comuni con quel che resta del partito di Berlusconi, di Fratelli d’Italia e della Lega, spesso sotto la regia del focoso capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta. Non ancora in Parlamento, ma già divisi tra loro, ci sono poi i movimenti dei forconi molto attivi nelle piazze, ma che al primo tentativo di grande manifestazione nazionale hanno registrato un clamoroso flop. 

Un flop che forze politiche intelligenti e attrezzate (i partiti, appunto) avrebbero potuto sfruttare per delegittimare coloro che, puntando sulla crisi e sul malcontento popolare, riescono soltanto ad aggiungere confusione a confusione. Ma le cose non sono andate così. Ed assistiamo quindi all’inseguimento, soprattutto da parte di Berlusconi, di questi nuovi protagonisti della scena. “Sono le nostre idee. Possono diventare la nostra gente, i nostri elettori”. Alla faccia della rivoluzione liberale.

Abbiamo fin qui fatto riferimento soprattutto al contorno non soltanto folcloristico di quelle che si dichiarano forze d’opposizione e che nei fatti svolgono una vigorosa azione che si dichiara anti-politica, ma è soprattutto anti-sistema. Veniamo all’altra faccia della scena politica: quella del Governo, della sua maggioranza e delle istituzioni che cercano di tenere insieme questo sfortunato Paese. 

Il Governo Letta certamente ha fatto e continua a fare poco: sulle riforme di medio e lungo respiro sinora balbetta; in campo internazionale ha una certa credibilità nonostante gravi incidenti come quello della signora kazaka; non è brillantissimo nel fronteggiare i problemi dell’immigrazione (la Bossi-Fini non è stata per nulla superata) e quanto sta accadendo nei centri di accoglienza da Lampedusa a Roma è una vergogna. Resta il fatto che finora è riuscito a essere una sorta di unico fattore di stabilità in gran tempesta. Non è poco, ma non basta. La stabilità senza vigore riformatore si affievolisce via via, fino a scomparire e magari a lasciare il campo ai forconi dei molti populismi.

Ma perché il governo assuma vigore riformatore deve fare i conti con la sua atipica maggioranza. Essa è formata da un’azionista di maggioranza, il Partito democratico, che ha molte anime; azionista di minoranza, ma decisivo per la sua tenuta, è il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Una forza politica che ha avuto il coraggio di lasciare Berlusconi, con il quale però potrebbe tornare ad allearsi in un momento elettorale che gli alfaniani sperano non ravvicinato.

Nel Pd il neosegretario Matteo Renzi non nasconde una robusta insofferenza per questo modesto alleato. Al punto di affermare che la riforma elettorale non necessariamente va fatta con l’alleato di governo. Il che è vero in teoria, ma nella pratica significherebbe la consegna della testa di Alfano nelle fauci degli sciacalli (in origine falchi) del partito berlusconiano. Uno scenario del genere comporterebbe una crisi di governo e non è auspicabile né per il Pd, né per Letta, né per il Paese. E di queste cose è prevedibile che saggiamente Renzi terrà conto.

Insomma, se sinora Letta ha mostrato attenzione e accondiscendenza per le prime mosse (alcune molto positive) di Renzi da segretario, ora potrebbe toccare al neosegretario fare altrettanto nei suoi confronti, tenendo nel debito conto anche le ragioni di Alfano. Il quale, a sua volta, potrebbe cercare di liberarsi definitivamente da ogni soggezione nei confronti della storia berlusconiana, guardando sempre più al centro (per ora sgombro) piuttosto che ad una destra tanto affollata quanto confusa. E in questo modo potrebbe anche provare a fare un partito degno di chiamarsi partito.

Come si vede, il quadro di riferimento del governo Letta resta incerto e precario. Quel che è certo è che al momento non c’è ad esso alcuna alternativa credibile. Meglio quindi cercare di andare avanti tenendo insieme il Paese, facendo comunque e presto una legge elettorale maggioritaria e dignitosa. Indispensabile tra tante difficoltà sarà ancora una volta il generoso ruolo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale non a caso è sempre più bersaglio degli irresponsabili attacchi dei populismi di destra e di sinistra. E di questo dovrà tenere conto soprattutto il neo segretario del Pd, provando (magari per un tempo limitato) a fare il centrocampista prima di fare il centravanti.

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