L’imboscata tesa alla vigilia del voto dalla presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, al premier Matteo Renzi avvelena le elezioni regionali di oggi che, interessando oltre 22 milioni di elettori, possono a buon diritto essere considerate una sorta di elezioni di mid-term per il Governo e una sorta di referendum per Renzi e per il suo tentativo di cambiare l’Italia.
Era stato lo stesso Premier a definire “imbarazzanti” candidature presenti nelle liste regionali in Campania e in Puglia ma la sconcertante iniziativa solitaria della Bindi non fa né chiarezza né giustizia davanti agli elettori e ha solo lo sgradevole sapore di una rancorosa vendetta contro Renzi, di cui non ha mai riconosciuto la leadership malgrado gli indiscutibili verdetti delle primarie e dell’ultimo congresso del partito che l’hanno mandata in minoranza.
La mossa della Bindi solleva due questioni cruciali che non possono restare senza risposta: 1) se non si vogliono promuovere processi sommari e una grottesca caccia alle streghe, perché mai dovrebbe spettare a un organo politico e non invece alla magistratura valutare i requisiti di onorabilità e di eleggibilità dei candidati alle elezioni? 2) il timing scelto dalla Bindi solleva mille sospetti: perché un verdetto così controverso è stato diffuso proprio alla vigilia del voto e non all’inizio della campagna elettorale?
Come scriveva ieri Roberto Saviano su “la Repubblica” l’”errata e controproducente”mossa della Bindi rischia di diventare un autentico boomerang “perché dà la patente di presentabile a tutti quelli non inseriti nella lista” di proscrizione ma che “magari sono dei prestanomi” dei boss della malavita, vanificando così ogni reale battaglia contro la corruzione, il clientelismo, la camorra e la criminalità organizzata di cui il cielo sa quanto bisogno ci sia soprattutto e non solo al Sud. Ma questo è il peggiorismo, il tanto peggio tanto meglio che rovina l’Italia e che fa assomigliare la lotta politica al Palio di Siena dove non conta vincere ma solo sconfiggere l’avversario.
Sia come sia, non c’è dubbio che le elezioni regionali siano del tutto uscite dal loro ambito puramente locale e siano diventate un referendum per Matteo Renzi e per la sua leadership nel Governo e nel Pd.
Renzi non farà l’errore di Massimo D’Alema di legare le sorti del suo Governo al voto regionale e continuerà a governare al di là del risultato elettorale di domani, ma non c’è chi non veda come gli intrighi di palazzo dei suoi oppositori interni abbiano reso la sua corsa in salita e abbiano oscurato i risultati del Governo, capovolgendo completamente i termini in cui oggi si trova il Paese.
Proprio nei giorni scorsi l’Istat ha certificato che l’Italia è finalmente uscita dalla recessione e che, per debole che sia, la crescita comincia a produrre più contratti di lavoro a tempo indeterminato. E proprio nei giorni scorsi anche il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha promosso la strategia delle riforme di Renzi. E lo stesso ha fatto il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, sia pure con minor calore del salvatore della Fiat Sergio Marchionne, che da buon rinnovatore ha un feeling naturale con il Premier.
Del resto, la Bindi e i talebani della minoranza Pd possono raccontare tutte le favole che vogliono per giustificare le loro sconfitte e la loro nostalgia del passato, ma non c’è chi non veda come Renzi abbia fatto in un anno quello che loro e l’azione dei Berlusconi e della Lega non hanno saputo fare in vent’anni e certamente non avrebbe saputo fare l’inossidabile solipsismo grillino. Renzi può piacere o non piacere, ma l’approvazione del Job Act, dell’Italicum, della legge anticorruzione, della responsabilità civile dei magistrati, della lotta agli ecoreati e i primi sì del Parlamento alla riforma della scuola, a quella della Pubblica amministrazione e a quella del Senato non sono annunci ma sono fatti.
Sarebbe assurdo interrompere il cammino delle riforme proprio nel momento in cui l’Italia scorge finalmente l’uscita dal tunnel, ma è già successo ai tempi dei governi Prodi e bisogna incrociare le dita perché Bertinotti.2 la vendetta non torni a dominare la scena con altri interpreti.
Una cosa però è certa: se Matteo Renzi non riuscirà ad affermare fino in fondo la sua leadership nel partito rottamando le vecchie classi dirigenti locali e nazionali e garantendo che la linea liberamente scelta dagli iscritti e dagli elettori possa realmente essere applicata anche in Parlamento e negli enti locali, come ogni elementare regola di democrazia esige, il suo slancio riformatore andrà incontro a crescenti difficoltà, con grave danno non tanto per lui e per il Pd quanto per il Paese. La sa tutto il mondo che Renzi non gradiva la candidatura di Enzo De Luca alle regionali della Campania e un partito lungimirante avrebbe fatto in modo che l’ex sindaco di Salerno non si presentasse e non vincesse le primarie che ne hanno consolidato la leadership locale. E tutto il mondo ricorda anche che De Luca fu sottosegretario ai Trasporti nel governo Letta senza che Bindi avesse nulla da eccepire: due pesi e due misure.
Vinca oggi Renzi per 7 a 0 o per 4 a 3 nelle Regionali, la sua resterà una vittoria mutilata se il Paese e la comunità internazionale avranno la percezione che la battaglia per il cambiamento dell’Italia non è più inarrestabile e che i sabotaggi della conservazione possono ancora rialzare la testa e colpire.
Siamo a un tornante cruciale della lotta per modernizzare l’Italia e la vera posta in gioco delle Regionali è tutta qui: si può cambiare l’Italia oppure no? Il voto di oggi ce lo dirà.