Andiamo avanti, saranno gli italiani a dare il loro via libera alle riforme istituzionali. Il premier Matteo Renzi rilancia la palla dopo che Silvio Berlusconi ha annunciato che non voterà il nuovo Senato alla Camera. Il voto sulla legge che modifica il ruolo di palazzo Madama e porta alla riduzione del numero di senatori che non saranno più eletti ma rappresenteranno Regioni e enti locali, è previsto per domani a Montecitorio.
“Superare il bicameralismo paritario – ha scritto il premier nella sua e-nwes – ridurre i poteri delle Regioni e semplificare il rapporto tra centro e autonomie, eliminare gli enti inutili. Ci siamo. Martedì andiamo alla Camera con il voto finale della seconda lettura. Puntiamo al referendum finale (perché per noi decidono i cittadini, con buona pace di chi ci accusa di atteggiamento autoritario: la sovranità appartiene al popolo e sarà il popolo a decidere se la nostra riforma va bene o no. Il popolo, nessun altro, dirà se i parlamentari hanno fatto un buon lavoro o no)”. Queste le parole scelte da premier per confermare che tira dritto e non intende rallentare il processo delle riforme. Renzi da tempo ha messo in conto di non ottenere la maggioranza qualificata, necessaria per evitare il referendum. E anzi, punta sul confronto diretto con gli italiani dare l’imprimatur alla riforma della Costituzione. Ottimismo anche sul fronte della riforma elettorale: Renzi non teme che malumori interni al Pd e opposizione di Forza Italia possano pregiudicare l’approvazione dell‘Italicum che deve affrontare l’ultima lettura. Anche qui, il premier fa riferimento all'”ultima lettura, quella della Camera”, lasciando intendere che non ci saranno modifiche.
«Oggi si apre davanti a noi, con tutto il centrodestra finalmente di nuovo insieme – aveva invece detto ieri il leader di Forsa Italia, Silvio Berlusconi diretta telefonica alla kermesse di bari per il lancio della candidatura di Schitulli alle regionali – una nuova fase che partirà martedì quando voteremo contro le riforme e diremo no alla arroganza e prepotenza del Pd che è stato incapace di cambiare se stesso e il Paese».