X

Rendimenti fondi, gli stranieri battono gli italiani. Troppi costi

Photo by Michael Longmire on Unsplash

“L’indipendenza è un valore talvolta scomodo – dice – ma vi garantisco che più lo si pratica meno si è disposti a farne a meno”. Parla così Dario Tosetti, promotore di Tosetti Value, uno dei più importanti family office europei che lui guida dall’ufficio di corso Marconi 10, a Torino, che fu per decenni il luogo di lavoro dell’Avvocato Agnelli. Tosetti, ex grande talento bianconero che ad un certo punto ha scelto gli studi invece che il centrocampo, è un intransigente difensore della formula “pura” del family office, una struttura   che deve contare solo sulle fees pagate dai clienti, senza alcun coinvolgimento con le commissioni di collocamento o altre “collaborazioni” a pagamento con altre realtà finanziarie. Grazie al rispetto rigoroso di questi steccati Tosetti amministra oggi più di 5 miliardi di asset per un centinaio abbondante di famiglie molto ricche cui fornisce assistenza a tutto campo, non solo finanziaria.  

Ma Tosetti Value, forte di un centro studi con 22 persone per monitorare i prodotti e fare scelte ragionate, non rinuncia, più per sfizio che per interesse,  a cercare di sviluppare la cultura finanziaria del Paese reale, fatto non solo di ricchi, ma di milioni di risparmiatori che si affidano al risparmio gestito per far fruttare i propri soldi. Nasce così l’0sservatorio che passa in rassegna le performance (e anche i costi) di tutti i prodotti Ucits distribuiti in almeno un Paese europeo, classificati long-term fund, attivi e passivi gestiti dalle prime 250 società per attivi che, ad ogni uscita (viene pubblicato dal Sole 24 Ore) riserva sorprese ed imbarazzo nel fiorente sistema di casa nostra.

 Anche stavolta dall’analisi emerge che i fondi europei rendono più di quelli italiani: 4,3% contro 2%, ad una velocità più che doppia. La ragione? Innanzitutto il peso di commissioni di gestione, oneri di banca depositaria, costi di revisione, eventuali altri costi fissi a favore della società di gestione. Un fardello strutturale che pesa in media per l’1,45% annuo per le principali case italiane contro lo 0,97% delle prime 30 società europee.

Certo, a spiegare la differenza contribuisce il diverso mix di prodotti offerti al pubblico. I gestori internazionali possono contare su maggiori economie di scala con un ampio ricorso ai fondi passivi (meno cari) e un minor ricorso ai fondi alternativi (flessibili, total return etc.) più facili da collocare commercialmente ma che costano di più. La vera differenza, però, sta nelle commissioni. Come sostiene una nota di commento del Centro Studi, “Il costo “facciale” del prodotto racchiude impropriamente gli oneri sostenuti dall’investitore per la consulenza ricevuta per la sottoscrizione di quel prodotto”.  

Esiste infatti un costo occulto, in quanto non conosciuto dal sottoscrittore, legato al collocamento del prodotto e che grava anno dopo anno sul valore dell’investimento. La ricerca, base gennaio 2018, rileva che in questo arco di tempo, ci sono casi in cui i costi fissi hanno sottratto ai fondi italiani fino al 7,56% della performance. Insomma, una sorta di tassa “opaca” a carico del risparmiatore su cui è meritorio far luce all’insegna della trasparenza. 

Related Post
Categories: Risparmio