Theresa May ha annunciato le dimissioni. La notizia era nell’aria da giorni. Le polemiche interne al partito conservatore sul nuovo accordo presentato dalla Premier hanno inferto il colpo di grazia a una premiership da sempre in bilico.
Parlando, tra le lacrime, davanti al numero 10 di Downing Street, May ha ceduto alle pressioni del suo partito e ha deciso di fare un passo indietro: “Lascio il 7 giugno, ho già parlato con la regina”.
Dopo aver elencato una serie di “conquiste” ottenute nel corso dei suoi due anni al Governo, tra cui le misure di contrasto al deficit e la riduzione della disoccupazione, May ha dovuto ammettere: “È e sarà sempre un motivo di profondo dispiacere per me il fatto di non essere stata in grado di portare a termine la Brexit”.
Il compito di districare l’assurdo caos sulla fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea passerà dunque al suo successore. Nelle prossime settimane si terranno le elezioni per la guida del partito Conservatore. Chi vincerà, come previsto dalla legge, diventerà automaticamente il nuovo Primo Ministro. Grande favorito è Boris Johnson, ex ministro degli Esteri del Governo May, dimessosi nel luglio del 2018 in aperta polemica con la Premier e con le sue politiche “troppo accomodanti” sulla Brexit.
L’annuncio di May è arrivato dopo una riunione con il 1922 Committee (una sorta di direttivo del partito conservatore) nel corso della quale i leader hanno pronunciato l’aut-aut: se non si fosse dimessa da sola, il partito avrebbe innescato l’iter per un secondo voto di sfiducia (dopo quello di gennaio), che stavolta secondo i numeri sarebbe stato fatale.
A spingere la rivolta dei conservatori è stato il nuovo accordo sulla Brexit annunciato da May martedì e poi ritirato. Un’intesa che lasciava aperta la possibilità di indire un secondo referendum sulla Brexit, inaccettabile per i falchi conservatori che hanno deciso di staccare la spina. Altro colpo mortale è stato il probabile risultato che il Brexit Party (un nome che è tutto un programma) di Nigel Farage ha ottenuto alle elezioni europee che nel Regno Unito si sono tenute ieri, 23 maggio. I dati definitivi arriveranno solo tra due giorni, ma le rilevazioni parlano: proprio a causa dello stallo su Brexit, l’ex numero uno dell’UKIP ha rubato migliaia di voti ai conservatori, che con ogni probabilità andranno incontro al peggior risultato elettorale della loro lunga storia.
May è rimasta in carica per quasi due anni e ha fallito il suo compito più importante: quello di realizzare la Brexit. La Premier era arrivata a Downing Street il 1° luglio del 2016, una settimana dopo il voto sulla fuoriuscita, con il compito di portare a casa un accordo che accontentasse tutti.
Un obiettivo che a due anni di distanza appare come una vera e propria missione impossibile. Una missione che forse i conservatori non cercheranno nemmeno più di realizzare. May è infatti un’esponente dell’ala moderata del partito conservatore, quella che in tutti questi mesi ha cercato di placare gli animi dei falchi, intenzionati a procedere con il No deal e a porre fine a qualsiasi trattativa tra il Regno Unito e l’Unione europea. Nel caso in cui a succederle, come probabile, fosse un membro dell’ala più oltranzista del partito – e Boris Johnson lo è – potrebbe dunque venir meno l’ipotesi di trovare una soluzione “morbida” alla Brexit e il 31 ottobre lo spettro No deal diventerà realtà.