Il regno dei Tories sembra ormai avere i giorni contanti. Dopo quattordici anni ininterrotti alla guida del Regno Unito, i conservatori britannici si avviano a lasciare lo scettro del potere in mano ai laburisti che, dopo una rivoluzione interna durata anni e un cambio di leadership che ha profondamente mutato l’assetto del partito, appaiono ormai pronti a tornare a Downing Street dalla porta principale, eleggendo il loro primo premier dai tempi di Gordon Brown.
Quelli che fino a pochi giorni fa venivano considerati indizi, molto concreti, ma pur sempre indizi, nelle ultime settimane si sono trasformate in (quasi granitiche) certezze agli occhi di tutti gli osservatori politici che ormai prevedono all’unanimità una netta sconfitta dei conservatori alle elezioni generali che si dovrebbero tenere entro la fine del 2024. Sondaggi, andamento economico, politiche ai limiti (e oltre) della costituzionalità, sfide elettorali, tutto ormai lascia presagire quella che in molti considerano “la fine di un’era”. Un’era destinata a restare nella storia del Paese. Il motivo è riassumibile in una sola parola: Brexit.
Elezioni suppletive Uk: i laburisti stravincono nelle roccaforti conservatrici
L’ennesima prova della futura probabile debacle conservatrice è arrivata tre giorni fa insieme ai risultati delle due elezioni suppletive che si sono tenute venerdì 16 febbraio nelle circoscrizioni di Wellingborough e Kingswood, in Inghilterra, due roccaforti Tories fino a poco tempo fa considerate quasi inespugnabili.
E invece i due candidati laburisti, Gen Kitchen e Damien Egan, hanno stravinto entrambi i seggi, entrando a testa alta nel Parlamento di Westminster. A Wellingborough in particolare il Labour Party ha ottenuto il 45,9% dei voti a fronte del 24,6% dei conservatori. Nelle precedenti elezioni del 2019 i Tories avevano conquistato quasi 40 punti in più. Non è andata meglio a Kingswood, dove il partito del Primo ministro Rishi Sunak si è fermato 8,675 voti a fronte degli oltre 11mila del partito progressista.
Il risultato “dimostra che la gente vuole il cambiamento e sono pronti a dare fiducia a un partito laburista rinnovato per ottenerlo”, ha commentato il leader dell’opposizione Keir Starmer. Minimizza, al contrario, il partito conservatore, che parla di “questioni locali che non riflettono l’opinione degli elettori a livello nazionale”. Un commento che ci potrebbe anche stare se non fosse che, dal 2019 ad oggi, i Tories sono usciti sconfitti da 10 diverse elezioni suppletive, che in alcuni casi sono state vinte dai laburisti, in altri hanno determinato il successo dei liberaldemocratici.
Il Regno Unito è in recessione tecnica
Ventiquattro ore prima delle suppletive, un’altra tegola si era abbattuta sulla testa del governo di Rishi Sunak: mentre l’inflazione è rimasta stabile al 4% secondo i dati pubblicati dall’Ufficio nazionale di Statistica (Ons) giovedì scorso, il Regno Unito è entrato ufficialmente in recessione tecnica. Dopo il segno meno segnato nel terzo trimestre del 2023, nel quarto trimestre, il Pil del paese è sceso dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti e dello 0,2% rispetto allo stesso trimestre del 2022. Complessivamente, l’anno scorso, l’economia britannica è cresciuta solo dello 0,1% rispetto al 2022, un risultato deludente per tutti e al di sotto delle altre maggiori economie europee (Germania esclusa).
“L’economia del Regno Unito sta sostanzialmente toccando il fondo”, ha commentato Stephen Payne, Portfolio Manager di Janus Henderson. Jack Amy, Portfolio Analyst di Moneyfarm, ha fatto notare invece come “La notizia, all’inizio di un anno di elezioni politiche, non gioca certo a favore del governo, anche se non è del tutto inaspettata, dato l’attuale scenario di inflazione e tassi d’interesse elevati e considerato il rallentamento della crescita che il Regno Unito registra da anni”.
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Sondaggi in picchiata per i conservatori in vista delle elezioni generali Uk
Il mandato di Sunak scadrà alla fine dell’anno, mentre il Parlamento cesserà le sue funzioni il 17 dicembre del 2024. A quel punto ci saranno 25 giorni di tempo per indire nuove elezioni che comunque non potranno tenersi oltre gennaio 2025. L’attuale primo ministro ha però più volte rassicurato che non intende arrivare alle urne “all’ultimo minuto” e che le elezioni si terranno dunque entro la fine dell’anno in corso.
Il problema è che i conservatori rischiano di presentarsi al fatidico appuntamento con le ossa rotte, dopo anni di conflitti interni e crisi politiche – che hanno portato a Downing Street 5 diversi primi ministri in 7 anni – e una recessione tecnica conclamata, i Tories sono in forte difficoltà. I sondaggi, da mesi ormai, sono impietosi: secondo le rilevazioni effettuate dai diversi uffici demoscopici, infatti, il distacco nei confronti del Labour party supera per la prima volta da anni i 20 punti. Parlando in parole povere, senza una netta inversione di rotta (o un miracolo secondo alcuni osservatori), tornare al potere per i conservatori sarà praticamente impossibile.
In questo contesto, inoltre, non bisogna dimenticare che il pericolo non viene solo da sinistra. Perché mentre i laburisti, nella loro nuova veste di partito di centrosinistra, si prendono i voti moderati, a destra a rosicchiare le preferenze dei più intransigenti c’è anche il Reform party, il nuovo nome del Brexit Party fondato da Nigel Farage, che alle suppletive della settimana scorsa ha ottenuto in entrambe le circoscrizioni il risultato migliore della sua storia, ottenendo il 13% dei voti a Wellingborough e il 10,4% a Kingswood. Senza dimenticare poi i liberaldemocratici che non hanno alcuna intenzione di “mollare il colpo”.
La rinascita dei laburisti britannici
L’attuale contesto politico non è nato dall’oggi al domani. Da un lato (quello conservatore) troviamo un partito al potere da oltre un decennio, logorato al suo interno da lotte intestine e da una Brexit che ha spazzato via qualsiasi tipo di equilibrio. Dall’altro (quello laburista) c’è invece una forza politica che dopo anni di subalternità è riuscita a riformarsi nel profondo, tornando lentamente a riprendersi quell’ampia fetta di elettorato che l’aveva abbandonata per via di proposte politiche considerate troppo radicali, troppo disancorate dalla realtà, troppo.
Il merito, dicono i politologi britannici, è soprattutto di Keir Starmer che, dalla vittoria contro l’ex leader laburista Jeremy Corbyn nell’ormai lontano 2020, ha saputo lentamente ma con costanza, e non senza difficoltà, imprimere al partito la svolta di cui aveva bisogno per ripartire, sfruttando ogni debolezza dei Tories e acquisendo nel corso del tempo quell’autorevolezza e quel carisma politico di cui veniva considerato deficitario. Dopo aver archiviato la stagione corbynista e aver riportato il Labor party su posizioni più centriste, Starmer sembra dunque pronto a prendersi anche Downing Street.
E Sunak? Dopo poco più di un anno di premiership, il Primo Ministro britannico sta cercando di convincere l’elettorato che le divisioni interne sono ormai superate e che le difficoltà del paese solo momentanee, causate dal contesto politico internazionale (prima la Brexit, poi il Covid, poi le guerre in Ucraina e Medio Oriente). Supereremo tutto, ha ripetuto più volte, con piglio a dir la verità molto poco convincente. Un appuntamento chiave arriverà il prossimo 6 marzo con la presentazione dello “spring budget”, la cosiddetta finanziaria di primavera. Data la situazione economica, le promesse fatte pochi mesi fa su forti tagli alle tasse sembrano ormai archiviate, più probabile l’arrivo di piccoli interventi sulle accise destinati quasi all’irrilevanza. Insomma, la coperta è corta e il tempo per recuperare è sempre meno. Che siano in arrivo le elezioni più scontate della storia del Regno?