La riforma costituzionale introduce novità importanti nei settori della cultura e del turismo.
Con riferimento ai beni culturali, innanzitutto, la riforma corregge il principale difetto prodotto dalle modifiche del 2001: è espressamente attribuita allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia non più solo di tutela, ma anche di valorizzazione. In tal modo, si consolida l’interpretazione che la Corte costituzionale ha dovuto faticosamente elaborare, negli ultimi quindici anni, per riconoscere allo Stato il potere di adottare regolamenti sui beni di sua appartenenza (sentenze n. 9 e n. 26 del 2004).
Basti pensare che, in assenza di tali pronunce ed applicando rigidamente l’articolo 117 della Costituzione, lo Stato non avrebbe potuto dettare una disciplina regolamentare per la fruizione del Colosseo, del sito archeologico di Pompei, o di altri importanti siti nazionali. La riforma, dunque, correttamente riconduce allo Stato la potestà legislativa in materia di valorizzazione. Ciò non toglie che le Regioni e i comuni potranno valorizzare il patrimonio culturale: un conto è chi adotta le leggi, altro è chi svolge le funzioni amministrative che, per la valorizzazione, sono sempre state distribuite secondo il criterio più logico, ossia quello della disponibilità del bene. Inoltre, il nuovo articolo 117 attribuisce alle Regioni la potestà legislativa in materia di «promozione di beni ambientali, culturali e paesaggistici», consentendo comunque interventi regionali dal punto di vista legislativo.
Anche in materia di “attività culturali”, dal 2001 ad oggi, la Corte costituzionale è riuscita a colmare le lacune dell’articolo 117, in genere a favore dello Stato. La portata della materia «promozione e organizzazione di attività culturali», inclusa tra quelle di potestà concorrente nel vigente articolo 117, è stata interpretata per includervi la disciplina del settore cinematografico (sentenza n. 285 del 2005), oggi interessato da un importante processo di riforma di iniziativa governativa (Atto Senato 2287,“Disciplina del cinema
dell’audiovisivo e dello spettacolo e deleghe al Governo per la riforma normativa in materia di attività culturali”), che altrimenti non sarebbe stato possibile varare. Anche le fondazioni lirico-sinfoniche sono state ricondotte alla legislazione statale, in quanto enti pubblici nazionali (sentenza n. 153 del 2011). La riforma, pertanto, si pone l’obiettivo di mantenere l’equilibrio di competenze raggiunto in quindici anni nella materia “attività culturali”, riconoscendo una menzione espressa ad ambiti così rilevanti per la Nazione, quali il cinema e lo spettacolo dal vivo: da un lato, spetta allo Stato adottare «disposizioni generali e comuni in materia di attività culturali»; dall’altro lato, spetta alle Regioni, per quanto di interesse regionale, dettare la disciplina delle attività culturali.
Anche per i “beni paesaggistici”, sin dal 2001 è stata lamentata da più parti l’assenza, nell’articolo 117, di un richiamo al “paesaggio”, nonostante questo sia espressamente menzionato nell’articolo 9 della Carta costituzionale. Per colmare questa lacuna, la Corte costituzionale ha ricondotto il “paesaggio” alla formula “ambiente”: una scelta per certi versi anacronistica, e non corrispondente alle rispettive realtà organizzative delle amministrazioni statali (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare), ma inevitabile per mantenere il settore nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 367 del 2007). Con la riforma, si assicura al legislatore statale, senza margini di incertezza, il compito di provvedere alla disciplina della tutela e della valorizzazione dei «beni paesaggistici». Questa espressione è una formula precisa, più adatta rispetto al termine “paesaggio”, che ha una portata più vasta, comprensiva dell’intero territorio.
Complessivamente la riforma mira, pertanto, a semplificare il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, insistendo sulla materia “beni culturali e paesaggistici” e non sulle relative funzioni, anche in considerazione del fatto che la tutela del patrimonio storico e artistico è compito affidato alla Repubblica (art. 9). In tale assetto, le attuali competenze regionali in materia di valorizzazione resterebbero comunque salvaguardate dalla possibilità di delegare alle Regioni l’esercizio della funzione legislativa in questo settore: una delega che, se necessario, potrà ritenersi già implicitamente presente nel vigente Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004).
Tra le ulteriori modifiche apportate, infine, vi è l’inclusione nella potestà legislativa esclusiva statale della definizione di «disposizioni generali e comuni in materia di turismo». La riforma assegna così in modo esplicito allo Stato la competenza a dettare una disciplina generale – e uniforme sull’intero territorio nazionale – di questo settore, purtroppo “dimenticato” nel 2001
La Corte costituzionale, del resto, ha dovuto precisare che, nonostante il turismo oggi ricada nelle materie di competenza esclusiva residuale delle Regioni,allo Stato va riconosciuto il potere di emanare «norme incidenti sulla materia del turismo,ambiti di sua competenza esclusiva e per la tutela di interessi di sicuro rilievo nazionale» (sentenza n. 80 del 2012).
La riforma permette allora di riconoscere allo Stato una generale e complessiva funzione di “programmazione strategica” di tutto il comparto turismo. Ma consente altresì di superare rilevanti problemi applicativi, dovuti all’attuale frammentazione regionale del quadro disciplinare. Ogni Regione, ad esempio, ha fornito una propria definizione delle diverse categorie di strutture ricettive (alberghiere, extra-alberghiere, o all’aperto), con la conseguenza di determinare alcune differenze, circa le diverse tipologie di strutture ricomprese nelle tre categorie, a seconda della Regione di riferimento. Anche la classificazione degli alberghi, oggi, si basa su discipline regionali: con la conseguenza che, da Regione a Regione, possono variare i servizi ricettivi offerti, a parità del numero di “stelle”. Anche la disciplina delle guide turistiche si fonda su base regionale: si pensi che, solamente dal 2013, grazie all’intervento del legislatore statale, l’abilitazione alla professione di guida turistica consente di svolgere l’attività professionale su tutto il territorio nazionale. La riforma, dunque, garantendo in modo esplicito la definizione di un quadro nazionale, andrà a correggere queste disomogeneità.
Il nuovo articolo 117, in conclusione, migliora e razionalizza l’assetto delle competenze in materia di cultura e turismo: corregge gli errori e colma le carenze delle modifiche introdotte nel 2001, restituisce allo Stato compiti di programmazione strategica e di disciplina uniforme di questi settori su tutto il territorio nazionale, lascia comunque intatte le prerogative regionali.
Estratto da “L’Economia del Sì”, a cura di Irene Tinagli. Scarica il documento integrale.