In questi giorni ricevo molti messaggi sulle scelte da compiere in occasione del prossimo referendum sulla legge che prevede una drastica riduzione del numero dei componenti della Camera e del Senato. Mi permetto perciò di riassumere in questa breve nota il mio orientamento, maturato da tempo anche grazie al confronto che si è svolto, già dagli inizi del 2019, in seno all’Associazione nazionale degli ex Parlamentari della Repubblica.
Questo sodalizio, al quale mi onoro di appartenere, ha approfondito il tema quando ancora il provvedimento stava percorrendo il suo lungo iter nelle aule parlamentari. Ed è giunto alla conclusione, largamente divulgata, che si trattava di una norma sbagliata e pericolosa.
Ipotizzare che Camera e Senato abbiano un numero di componenti ridotto rispetto agli attuali è, sia chiaro, del tutto legittimo. Sarebbe però doveroso perseguire questo obiettivo senza danni per la capacità del Parlamento di rappresentare correttamente i cittadini sia in rapporto alle diverse realtà territoriali sia per quel che attiene alla pluralità delle opinioni politiche.
La Costituzione della Repubblica assegna al Parlamento due funzioni fondamentali: far sentire “la voce del Paese nello Stato”, secondo l’incisiva immagine di un grande giurista qual è Sabino Cassese, e bilanciare gli interessi legittimi dei diversi segmenti della società attraverso un oculato ed equilibrato esercizio della funzione legislativa.
Un taglio di quasi un terzo del corpo degli eletti – stabilito al di fuori di una visione organica di riforma e senza modifiche coerenti della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari – rischierebbe invece di rendere il Parlamento ancor più lontano dal Paese e pesantemente limitato nel compito di dare risposte tempestive ed efficaci alle attese dei cittadini: il contrario, insomma, di quella che viene sempre più avvertita come una esigenza inderogabile.
L’enorme ampliamento dei collegi elettorali, conseguente alla forte riduzione del numero degli eletti, renderebbe poi i candidati sempre più diretta espressione dei vertici dei partiti e sempre meno del territorio. In definitiva prenderà forza un processo purtroppo già in atto: l’evoluzione in senso oligarchico del sistema politico. Di conseguenza, diventerà arduo l’esercizio dello spirito critico e dell’indipendenza di giudizio da parte degli eletti (che sarebbe più realistico definire: nominati).
Ove la legge oggetto di referendum venisse confermata si verificherebbe anche un’altra deprecabile conseguenza: la silenziosa, e peraltro sostanziale, abrogazione dell’articolo 67 della Costituzione. Questo, com’è noto, recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. È una delle garanzie di libertà che i Costituenti vollero fissare per la Repubblica che stava nascendo; diventerà invece – come del resto apertamente auspicato dal Movimento 5 Stelle – un traguardo non più raggiungibile.
Il 20 e 21 settembre prossimi non siamo chiamati a esprimere un “Sì” o un “No” nei confronti di un principio astratto; con la nostra scheda dovremo invece dire se intendiamo o meno rendere operante un preciso disposto normativo: la legge costituzionale dell’8 ottobre 2019. Si tratta di un testo che, pur intendendo perseguire un obiettivo in sé legittimo, fissa procedure e modalità incoerenti e controproducenti, dannose per la crescita civile del Paese e per l’ordinato svolgimento della vita istituzionale. Per questo la mia convinzione è che esso vada respinto con il “No” dagli elettori.
Sullo stesso argomento leggi anche le posizioni di
Ernesto Auci
Giuliano Cazzola
Innocenzo Cipolletta
Rino Formica
Emanuele Macaluso
Giulio Sapelli
Bruno Tabacci