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Referendum: in gioco c’è la credibilità internazionale dell’Italia

In vista del referendum del 4 dicembre si ascoltano motivazioni di voto che prescindono dalla riforma costituzionale e molto si rifanno a preoccupazioni e impressioni di ordine del tutto diverse, talvolta le più strane.

Colpisce, in particolare, che nessuna attenzione sia stata data alle conseguenze sul piano internazionale di un esito del referendum che vedesse il prevalere dei No.

Per l’Italia gli esami non finiscono mai
Tradizionalmente, l’Italia è sotto giudizio per l’instabilità dei suoi Governi: più di 60 in poco più di sessant’anni, com’è noto. E la comunità europea sembrava aver accettato la tesi che la svolta nella politica interna, realizzata due anni orsono con l’introduzione delle primarie nel partito di maggioranza, segnasse l’inizio di una nuova stabilità dei Governi italiani.

La vittoria del No indurrebbe facilmente a considerazioni opposte. In effetti, la motivazione della vittoria del No da molti dichiarata è la necessità di abbattere l’attuale Presidente del Consiglio e il suo governo.

Voto No perché penso ad altro
Molti ambienti internazionali osserverebbero in materia, probabilmente, che i regimi democratici sono tali appunto perché apprestano i mezzi per sostituire i governi e i Primi ministri; ma che in genere nei paesi democratici avanzati ciò non avviene a scapito delle politiche di riforma che il Parlamento, in ripetute votazioni, ha giudicato nell’interesse costituzionale della nazione.

Desta quindi grande stupore che una persona stimabile come Mario Monti, in un’intervista al Corriere della Sera, abbia addirittura teorizzato la necessità di questa aberrazione tutta italiana. Immaginiamo che nessuno potesse prevederlo, sul Colle, quando fu nominato un senatore a vita per permettergli di seguire più facilmente la procedura costituzionale di sostituzione dell’on. Berlusconi alla testa del governo.

Ancora, l’Unione Europea aveva concesso la rilevante flessibilità in materia di bilancio che l’Italia aveva chiesto: e che era appunto fondata sulla garanzia che sarebbe continuata la politica di riforme necessaria a risanare la condizione finanziaria del paese.

Anche questo, è da temere potrebbe esser revocato in dubbio da un esito del referendum che comportasse una crisi di governo e l’inizio di un periodo politicamente imprevedibile: nel quale la sorta di trio Lescano politico che ha guidato la campagna del No (il famoso Grillo-Salvini-D’Alema) assumerebbe di fatto la direzione politica del paese.

L’Italietta dei giri di valzer?
Purtroppo, il comico che guida il Movimento 5 stelle si è prodotto anche in dichiarazioni che Massimo Franco, nella sua consueta nota sul Corriere, ha giudicato particolarmente incongrue. C’è stato, egli dice, “un inserimento a forza nella campagna elettorale del tema della politica estera” con l’improvvido invito a non rispettare un impegno internazionale già preso in sede di Alleanza Atlantica (la partecipazione di soldati italiani al contingente Nato posto a protezione della frontiera della Lettonia).

“Forse il Governo non pensava che il partito anti-europeo entrasse nella campagna referendaria usando questo argomento”, ha scritto Franco; ma il fatto è che ciò “rischia di rilanciare i sospetti su un’alleanza di fatto tra forze populiste europee e Cremlino; e costringe a chiederci dove andrebbero l’Italia, l’Euro e l’Ue se dovessero prevalere questi movimenti”.

Ineccepibile. Quante sorprese le campagne elettorali riservano.

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