Alla fine il distacco è stato netto. Il referendum in Grecia sulle proposte di accordo arrivate dai creditori internazionali si è chiuso con una vittoria schiacciante del NO, che ha raggiunto il 61,3% delle preferenze (pari a 3.558.450 voti), contro il 38,7% dei Sì (2.245.537 voti). L’affluenza ha toccato il 65%, andando ben oltre il quorum del 40%.
“Abbiamo dimostrato che la democrazia non può essere ricattata”, ha detto il premier greco Alexis Tsipras, invocando “un’Europa della solidarietà”. La vittoria dei NO, ha aggiunto, “non è una rottura con l’Unione Europea” e nemmeno la richiesta di un’uscita dall’euro. “La Grecia vuole sedersi di nuovo al tavolo delle trattative – ha aggiunto – e vogliamo continuarle con un programma reale di riforme ma con giustizia sociale. Ora anche il debito dovrà entrare nel negoziato”.
LE DIMISSIONI DI VAROUFAKIS
Proprio per facilitare i negoaziati, sono arrivate le dimissioni a sorpresa le dimissioni del ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis. “Me ne vado per aiutare Tsipras nella trattativa – ha scritto l’economista sul suo blog -. Subito dopo l’annuncio dei risultati del referendum sono stato informato di una certa preferenza di alcuni membri dell’Eurogruppo e di ‘partner’ assortiti per una mia… ‘assenza’ dai loro vertici, un’idea che il primo ministro ha giudicato potenzialmente utile per consentirgli di raggiungere un’intesa. Per questa ragione oggi lascio il ministero delle Finanze. Considero mio dovere aiutare Alexis Tsipras a sfruttare come ritiene opportuno il capitale che il popolo greco ci ha garantito con il referendum di ieri e porterò con orgoglio il disgusto dei creditori”.
I VERTICI IN ARRIVO
A questo punto l’attenzione si sposta su Bruxelles, dove l’Eurogruppo si riunirà in settimana. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande, invece, si incontreranno oggi a Parigi proprio per confrontarsi sul caso greco. Intanto, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha convocato per martedì una riunione dei leader dell’Eurozona chiesta da più Paesi, tra cui l’Italia, nel giro di telefonate convulso seguito alla vittoria del No al referendum greco.
Questa mattina il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, terrà una conference call con il presidente dell’Eurosummit, il presidente dell’Eurogruppo e il presidente della Bce, mentre martedì interverrà al Parlamento europeo a Strasburgo.
LA CHIUSURA DELLA GERMANIA L’APERTURA DELLA FRANCIA
Ma da Berlino sono già arrivati segnali poco incoraggianti: “Nuove negoziazioni con la Grecia sono difficilmente immaginabili”, ha detto il vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel, secondo il quale Tsipras ha distrutto l’ultimo ponte verso un compromesso tra Europa e la Grecia. Ancora più dura la Merkel, che in serata ha accusato Tsipras di “mandare la Grecia contro un muro”. Di segno opposto la reazione di Parigi: il ministro dell’Economia francese Emmanuel Macron si è espresso per l’immediata riapertura delle trattative con Atene.
LA POSIZIONE DELL’ITALIA
Quanto all’Italia, il premier Matteo Renzi, che ha convocato per questa mattina alle 9.30 a Palazzo Chigi il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ha intenzione di fare pressioni affinché si esca dal format franco-tedesco, per arrivare a una decisione collegiale sul futuro della Grecia.
IL RUOLO DELLA BCE
La prima, cruciale partita si giocherà stamane alla Bce. Toccherà a Mario Draghi decidere se e come prolungare gli aiuti alle banche greche. Per la Banca centrale, dopo il no di Atene, sarà difficile resistere alle tesi di Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, per cui già da tempo i collaterali delle banche greche a garanzia dei prestiti hanno perduto ogni valore.
Mario Draghi, però, potrebbe evitare di chiedere per ora la restituzione dei prestiti Ela, atto che avrebbe l’effetto di accelerare il Grexit. Come già accaduto nel 2012, il banchiere chiederà ai vertici delle varie istituzioni europee se intendono farsi carico delle garanzie di Atene oppure no.
La prossima data chiave sarà, a questo punto, il 20 luglio, quando scadranno 3,5 miliardi di prestiti Ue ad Atene. Se entro quella data non ci sarà accordo, la Grecia entrerà in default, ma non sarà per questo espulsa dall’euro. Atene entrerà in una sorte di limbo, caratterizzato dalla doppia circolazione monetaria, con l’introduzione di una valuta ad uso interno.