Oggi scade il termine entro cui la Grecia dovrebbe rimborsare al Fondo monetario internazionale 1,6 miliardi di euro, ma l’accordo con i creditori sulle riforme non è stato trovato e Atene non ha i soldi per pagare. Domenica prossima si terrà il referendum indetto dal governo Tsipras sull’intesa proposta dal Brussels group. Poco più di una settimana dopo, il 13 luglio, scadranno debiti greci per altri 450 milioni con il Fmi, mentre il 20 luglio e il 20 agosto saranno gli ultimi giorni utili per rimborsare alla Bce rispettivamente 3,5 e 3,2 miliardi di euro. La bancarotta è davvero inevitabile? E l’uscita dall’euro? Ecco alcune cose da sapere per orientarsi meglio.
1. LA GRECIA NON PAGA. CHE SUCCEDE ADESSO?
A) Fondo monetario internazionale
Per il Fmi, il mancato pagamento da parte di Atene dovrebbe far scattare la procedura per il default. Ma non è detto che ciò avvenga, perlomeno non subito. E’ probabile che il Fondo voglia prendere tempo almeno fino a lunedì, quando saranno noti i risultati del referendum greco (che, in caso di vittoria del sì, garantirebbe la ripresa dei negoziati). Fino ad allora, la Grecia sarà definita “in arretrato di pagamento”.
Peraltro, anche se fosse innescata immediatamente, la procedura per il fallimento richiederebbe tempo. Secondo la scaletta ufficiale, dopo il mancato rimborso del prestito, il Fmi manda al governo del Paese interessato un sollecito di pagamento; due settimane dopo la direzione contatta il direttore del Fondo responsabile del Paese in questione e chiede nuovamente il rimborso immediato; dopo un mese il direttore generale del Fmi notifica al board dell’istituzione che il pagamento non è arrivato. Ed è a quel punto che scatta il default.
B) Agenzie di rating
Dal punto di vista delle agenzie di rating, quello che si profila oggi non è un default, perché non riguarda le obbligazioni detenute dai creditori privati.
C) Europa
Quando il Fondo monetario avrà comunicato il mancato pagamento, il fondo europeo salva-Stati Efsf convocherà il proprio consiglio, che potrà scegliere se attendere gli sviluppi della questione, congelare la situazione sine die oppure (ma è la soluzione meno probabile) chiedere l’immediato rimborso di tutti i debiti greci, che nei confronti dell’Efsf ammontano a 131 miliardi.
2. IL REFERENDUM. QUAL E’ LA POSTA IN GIOCO?
A) su cosa si vota?
In teoria, gli elettori greci sono chiamati a esprimersi sulla proposta di accordo arrivata dai creditori internazionali: si vota Sì per accettarla, NO per respingerla. Votare NO, quindi, non significa chiedere l’uscita dall’euro, ma un accordo diverso da quello proposto dai creditori. A livello tecnico, peraltro, non è detto che la bancarotta implichi necessariamente l’addio alla moneta unica, anche perché i Trattati non prevedono alcuna procedura per l’uscita dall’euro. Infine, perché il referendum sia considerato valido, sarà necessario un quorum del 40%.
B) Cosa succede se vince il sì?
Se la maggioranza dei greci voterà Sì al referendum, la Grecia accetterà l’intesa proposta dai creditori internazionali, ovvero una serie di misure da adottare in cambio di 15,5 miliardi da qui a novembre (che però, secondo il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, non basterebbero). Tsipras – che fa campagna per il NO – sceglierà verosimilmente la strada delle dimissioni ed entro un mese il Paese tornerà alle urne per le elezioni politiche. Il nuovo Parlamento dovrebbe quindi accettare il verdetto del referendum e delegare il nuovo governo a firmare l’accordo. Se invece non ci saranno nuove elezioni, si profila la creazione di un governo d’unità nazionale (ad esempio con un’alleanza fra Syriza, To Potami e Pasok). Tsipras ha garantito che sarà rispettata la volontà popolare.
C) E se vince il NO?
Difficile anticipare con precisione le conseguenze in caso di vittoria del no: è probabile che entro il 20 luglio arriverebbe la bancarotta, il controllo dei capitali diventerebbe permanente (con limiti nel ritiro dei depositi nelle banche) e la Bce sospenderebbe i prestiti d’emergenza. La prospettiva dell’uscita dall’euro si farebbe quindi più concreta, ma, come detto, l’addio all’Eurozona non sarebbe automatico né necessario.
3. COSA RISCHIA L’ITALIA?
Ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha scritto su Twitter che “circolano dati sbagliati su esposizione diretta Italia vs Grecia: tra prestiti bilaterali e garanzie (calcoli aggiornati ESM) è 35,9” miliardi di euro. In termini assoluti, quindi, il nostro Paese è meno esposto in Grecia rispetto a Germania e Francia. Tuttavia, se consideriamo il livello del nostro debito pubblico e la bassa crescita del Pil, siamo noi a rischiare di più.
Inoltre, se la Grecia uscisse dalla moneta unica, l’Eurozona perderebbe il suo anello debole e i mercati ne cercherebbero immediatamente un altro contro cui scagliarsi: l’Italia, nonostante abbia un’economia molto più ampia, articolata e sana di quella greca, è il primo indiziato a finire nel mirino della speculazione agostana che tanto piace ai fondi anglosassoni.
D’altra parte, secondo Renzi “l’Italia è già fuori dalla linea del fuoco”. In un’intervista al Sole 24 ore, il Premier ha sottolineato alcuni punti a vantaggio del nostro Paese: “Abbiamo iniziato un percorso coraggioso di riforme strutturali, l’economia sta tornando alla crescita e l’ombrello della Bce ci mette al riparo: tre caratteristiche che rendono questa crisi diversa da quella di quattro anni fa”.