La campagna referendaria si sta scaldando. Finalmente i mezzi di comunicazione stanno dando spazio alle diverse opinioni di politici ed esperti. Al di là dell’approccio più emotivo in base al quale molti sono indotti a pensare che meno politici abbiamo, meglio è perché così avremo meno mangiapane a sbafo e, nel peggiore dei casi, meno disonesti che derubano i cittadini. Ma a guardare un po’ più a fondo alle cose si capisce bene che il vero problema della politica italiana non sta nel numero dei parlamentari ma nella confusa ripartizione dei poteri tra centro e periferia e nel così detto bicameralismo perfetto, che rende il processo legislativo più difficile e quasi sempre più costoso in quanto ogni ramo del Parlamento aggiunge proprie istanze a quelle proposte dal Governo.
I sostenitori del SI si guardano bene dal dire che questa riduzione del numero dei parlamentari risolverà i problemi italiani. A parte le sciocchezze sulla riduzione dei costi e sulla maggiore efficienza delle camere con un numero ridotto di componenti, ( cose che ormai solo qualche grillino si attarda a sostenere), la maggior parte dei sostenitori del SI avanza due argomenti principali: per il primo questa riforma è solo il primo passo verso un processo riformatore più ampio e più efficace, mentre il secondo punta sulla necessità di non lasciare la bandiera delle riforme ai 5 Stelle, per cui in caso di vittoria del SI sarebbero molti a festeggiare, non solo Di Maio. Accanto a questi due pilastri dei sostenitori del SI, ci sono alcune argomentazioni minori come quella tirata fuori da Zingaretti secondo il quale una vittoria del NO metterebbe in crisi il Governo ( subito smentita dagli stessi grillini), oppure quella secondo la quale la riduzione del numero dei parlamentari è attesa da tanti anni e tutti i precedenti progetti di riforma della Costituzione la prevedeva. Questo è vero, ma c’è molta differenza tra ottenere una riduzione degli onorevoli dopo aver modificato l’operatività del Senato, e una riduzione secca fatta prima di metter mano ad altre riforme come quella del bicameralismo o quella dei regolamenti parlamentari, oltre alla legge elettorale ecc.
Se uno comincia dalla coda gli effetti non sono gli stessi. In primo luogo non c’è alcuna garanzia che la prosecuzione dell’opera riformatrice ci sia veramente, e che si vada nella direzione di chiarire e rafforzare il ruolo del Parlamento ( sia come rappresentatività che come capacità di controllo sul Governo) . I parlamentari già oggi sono nominati dalle segreterie dei partiti, ma con la riduzione del numero questo controllo delle segreterie sarà più stringente e i legami con il territorio più labili. È veramente sorprendente che tra coloro che credono che dopo la vittoria del SI si metta in moto un processo riformatore ci siamo studiosi stimabili come Stefano Ceccanti e Pietro Ichino che pure hanno fatto una esperienza politica come parlamentari e dovrebbero aver visto con i loro occhi che il numero dei deputati è proprio l’ultimo dei problemi del nostro sistema politico. Per quel che riguarda il secondo pilastro, e cioè non lasciare la festa della vittoria ai soli grillini, il passato ha già dimostrato che i portatori d’acqua , anche se si affannano a differenziarsi come tenta di fare Zingaretti, lavorano a vuoto e sono destinati a uscire sconfitti qualunque sia il risultato della consultazione.
Infine viene lanciata l’accusa ai sostenitori del NO di essere conservatori, o nella versione demagogica-grillina, dei servitori della “casta”. Qualcuno, meno grezzo, avanza il dubbio che una ennesima bocciatura di una riforma costituzionale da parte del popolo, potrebbe mettere una pietra tombale su qualsiasi tentativo di riforma per molti anni a venire, mentre il paese ne avrebbe urgente bisogno. Di conseguenza, dicono quelli che votano SI turandosi il naso, meglio fare questo primo passo, che del resto a loro parere non comporta gravi rischi, per poi fare le riforme che servono veramente.
Ma come dice un antico adagio popolare “passata la festa, gabbato lo santo” e cioè una volta che i grillini hanno incassato il successo a questo referendum, quale altro passo avranno veramente voglia di fare? Si muoveranno in direzione liberale puntando sul rafforzamento della democrazia rappresentativa, o rispolvereranno le loro idee originarie della democrazia diretta, del vincolo di mandato che ridurrebbe i parlamentari a meri funzionari del Governo, del superamento del Parlamento?
Il NO non significa voler mantenere immutato il sistema attuale. Ma vuole affermare con forza la necessità che si facciano le cose per bene. Si spera che gli italiani siamo stufi della demagogia dei partiti populisti e che ci sia una gran massa di cittadini che vorrebbe avere una politica meno gridata, più lungimirante, capace di dare alcune garanzie e sicurezze essenziali sulla vita delle persone, senza la pretesa di impicciarsi di tutto. Basta promettere protezione completa a chiacchiere e poi nei fatti non essere capaci di far funzionare la macchina statale se non caricandola di debiti che saranno i giovani a dover ripagare.
In passato alcuni referendum hanno determinato cambiamenti politici importanti. Oggi si tratta di porre un argine alla demagogia populista evitando il rischio di scivolare lungo una china senza sapere bene quando e dove ci fermeremo. Votare NO vuol dire anche esprimere la voglia di cambiare indirizzo. Perfino le tricoteuses dopo qualche mese si sono stufate di assistere alle decapitazioni dei potenti, ed hanno contribuito alla fine del populismo.