“La grande proletaria si è mossa”. Nei giorni scorsi una folta delegazione della Cgil, guidata da Maurizio Landini ha varcato la soglia del Palazzaccio per depositare i quattro quesiti dei referendum che cambieranno – a quanto si dice – la storia del lavoro in Italia, da troppo tempo umiliato e offeso con leggi sbagliate per iniziativa di tutti i governi non esclusi alcuni sedicenti di centro sinistra. Infatti, in prima fila davanti al plotone di esecuzione del voto popolare è collocato quel jobs act voluto dal governo del ‘’supertraditore’’ Matteo Renzi. Invocare il jobs act è una figura retorica invertita perché nel linguaggio figurato di solito si indica una parte per il tutto (ad esempio’’ la vela’’ o la ‘’prua’’ per ‘’la nave’’).
Referendum Cgil: Landini contro il jobs act e le tutele crescenti
Landini, invece, evoca una legge delega e l’insieme dei decreti legislativi – il blocco del jobs act – per indicare soltanto il dlgs n.23 del 2015 che ha istituito il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti: una normativa che non modifica, come la n.92 del 2012, il fatidico articolo 18, ma introduce una disciplina parallela per il licenziamento individuale, applicabile solo ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015. Questa nuova disciplina è stata parecchio depotenziata dalla giurisprudenza, anche costituzionale, di innovazioni tra le più importanti (come la prevedibilità dei costi del licenziamento illegittimo in rapporto con l’anzianità di servizio, che si traduceva poi nel concetto di ‘’tutela crescente’’). Non abbastanza però da sottrarsi alla maledizione della Guida Suprema, l’ayatollah Maurizio Landini che fin dall’inizio aveva giudicato quell’articolato una raccolta di versetti satanici.
I quattro referendum della Cgil: un redde rationem a carico delle forze politiche
Pertanto se le procedure risulteranno corrette e la Cgil (statene certi) riuscirà a raccogliere le 500mila firme richieste, si compirà nella primavera del 2025, su questo quesito e sugli altri tre, il ‘’redde rationem’’ a carico delle forze politiche e dei leader che, pur essendo di sinistra, si sono immedesimati nell’ordoliberismo.
È assolutamente pacifico che neppure un trionfo del NO ripristinerà – più forte e gagliardo di prima – quell’articolo 18 come previsto nello statuto dei lavoratori. Bisognerà accontentarsi del testo novellato, confusamente, nella legge n.92/2012. Nella stessa materia un altro quesito riguarda la misura della indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese. Entrano in gioco leggi che i sindacati non hanno mai contestato e anzi contribuirono a suo tempo alla loro definizione: la legge n.604/1966 che recepì un accordo sindacale e la legge n.108 del 1990.
Un ulteriore quesito riguarda la sicurezza negli appalti e chiede in modo esplicito che si allarghi fino al committente la responsabilità di tutto quello che avviene sul versante della salute e della sicurezza dei lavoratori. Per raggiungere questo esito il quesito si inerpica lungo un reticolo di leggi: dal Testo Unico (dlgs n.81 del 2008) alle numerose e successive modifiche, intervenendo chirurgicamente sulle parole al fine di riorganizzare la norma in direzione di una disciplina diversa da quella originale, tanto che vi è il dubbio che il quesito sia idoneo a raggiungere la finalità a cui è rivolto.
Il referendum sui contratti a termine
Più chiari e comprensibili sono gli effetti che sarebbero prodotti sulla relativa disciplina nel caso in cui avesse successo il referendum sui contratti a termine che, secondo la Cgil devono essere riportati in un contesto di “causalità”. Vediamo quale dovrebbe essere, secondo la Confederazione ‘’firmaiola’’ la nuova disciplina confrontando i due testi.
Articolo 19 comma 1 del dlgs 81/ 2015 e successiva modifiche (vigente):
1 – Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51; b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il ((31 dicembre 2024)), per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; b-bis) in sostituzione di altri lavoratori.
Articolo 19 comma 1 del dlgs 81/2015 e successive modifiche, nel testo eventualmente modificato in seguito all’esito del referendum nel senso indicato dai quesiti:
1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non eccedente i ventiquattro mesi nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51; e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti.
Non sembrano esservi differenze sostanziali tali da giustificare il ricorso a un referendum. In sostanza viene unificato e sottoposto alle medesime condizioni previste nei contratti l’intero periodo di 24 mesi (e quindi anche i primi 12 mesi in precedenza liberalizzati). In fase di prima applicazione entro il 2024 (se e quando vi sarà il referendum la norma sarà decaduta) è operante il “c.d. causalone”, comunque sindacabile in giudizio. Viene ricondotta alle disposizioni negoziate nei contratti collettivi anche la sostituzione di altri lavoratori. Appare poi significativa, ma ridondante anche dal punto di vista del sindacato, l’eventuale abrogazione dei contratti applicati in azienda. Si manifesta anche in questo caso la preoccupazione – sopravvalutata – dei contratti pirata.
Nel prosieguo non vi sono differenze rilevanti tra il testo dell’articolo 19 vigente e quello ‘’desiderato’’ dalla Cgil.
In caso di stipulazione di un contratto in assenza delle condizioni previste, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i ventiquattro mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.
Fermo quanto disposto fino ad ora, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione.
Referendum sui contratti a termine: una vendetta contro il jobs act?
Come si può notare, il vero cambio di passo per il lavoro a termine non sta – come dice la propaganda sindacale – nel ridimensionamento del fenomeno, per altro già in flessione a fronte di un’espansione del lavoro a tempo indeterminato, ma nel recupero di una sovranità assoluta in capo alle parti sociali e alla contrattazione collettiva. Anche a costo di non rendersi conto di aver già riconosciuto il dominio della situazione.
In sostanza, a parte la volontà di consumare una vendetta (vile! Tu uccidi un uomo morto!) contro il jobs act (ovvero il dlgs n.23/2015) e Matteo Renzi; di non favorire più le piccole aziende sul piano dei costi del licenziamento; di valutare se dal cilindro del quesito in materia di appalti esce davvero una responsabilità oggettiva del committente; per quanto riguarda il lavoro a termine è più il fumo del beef. Poiché la campagna della raccolta firme e quella che accompagnerà l’eventuale svolgimento del referendum si svolgerà all’insegna di slogan palingenetici, emergono dall’operazione le finalità politiche che la ispirano sullo scenario italiano, piuttosto che la volontà di cambiamenti normativi demolitori della legislazione degli ultimi anni, la stessa che a parole è messa sotto accusa. Anche nel divenire di questa vicenda rischia una guerra per errore conclusa con una classica vittoria di Pirro.
Referendum Cgil: i testi dei quesiti
Licenziamenti
Jobs act:
«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?».
Misura della indennità:
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?».
Appalti
“Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?».
Contratti a termine
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?».