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Referendum Catalogna, il “ministro” degli Esteri: “Voteremo”

Hanno requisito i volantini che informavano sul voto, indagato i sindaci disposti ad aprire i seggi, bloccato l’invio delle lettere di convocazione degli scrutatori. Infine, con un blitz negli uffici del governo regionale, hanno arrestato decine di alti funzionari coinvolti nell’organizzazione della consultazione. Dalla Guardia Civil alla Procura, dai ministeri alle Poste, gli organi e le società dello Stato spagnolo stanno lavorando per tenere i catalani lontani dalle cabine elettorali. Ma il loro ‘ministro’ degli Esteri Raül Romeva i Rueda (le virgolette sono d’obbligo, non essendo stato autorizzato da Madrid a utilizzare questa qualifica) non ha dubbi: “Al referendum per l’autodeterminazione del 1° ottobre i catalani voteranno”.

Si dice che gli abitanti della Catalogna siano i tedeschi di Spagna; e Romeva corrisponde a questo profilo. A Roma per una conferenza della delegazione catalana in Italia, si sorprende del ritardo con cui comincia l’evento. Per gli italiani è routine, e anche per gli spagnoli. “Ma non per i catalani”, precisa.

E, a margine del convegno, condivide i suoi pronostici con chi – impressionato dall’alternarsi di offensive e controffensive tra Barcellona e Madrid – legittimamente si chiede cosa accadrà a Barcellona, Girona, Cambrils e nelle tante altre città della Catalogna fra dieci giorni. Se il referendum si farà e come – tra prevedibili divieti e altrettanto prevedibili proteste – o se non si terrà affatto, e con quali conseguenze. Insomma, se il sogno indipendentista catalano, già tormentato da bruschi risvegli negli ultimi anni, tornerà allo stato di vaga illusione.

Di certo gli aspiranti secessionisti non si sono risparmiati: memori del fallimento del referendum del 2014, hanno preparato gli spagnoli con continui avvertimenti, approvato la loro legge sul referendum, ignorato la sospensione decisa dalla Corte costituzionale ed emanato una seconda legge che già regola la secessione dalla Spagna. Ora che il dado è tratto, non resta che stare a vedere.

Ministro Romeva i Rueda, che cosa accadrà il 1°ottobre?

“Voteremo. Siamo convinti che questa sia l’unica soluzione ai nostri problemi attuali. Non ci sono alternative, la democrazia non può averne”.

Crede davvero che riuscirete a votare, nonostante le misure del governo spagnolo?

“Prima di tutto guardiamo a cosa il governo sta facendo: sta requisendo manifesti, volantini, impedendo il dibattito. Sta mettendo in discussione diritti fondamentali come la libertà politica, d’espressione, di voto, di associazione. E così non fa che rafforzare la mobilitazione, perché ogni provvedimento per impedire il referendum si traduce in una risposta ancor più massiccia da parte del popolo catalano. Per questo dico che riusciremo a votare, perché se ce lo impediranno saremo in tanti a protestare. La determinazione, la volontà della gente c’è, e non si può aggirare”.

Si aspettava una reazione del genere da parte di Madrid?

“Non è una sorpresa per me – le strutture statali sono un’eredità del franchismo e lo riflettono –. Semmai lo è stata per altri, anche in Europa. La questione catalana va vista proprio come un’opportunità per migliorare la democrazia in Spagna e, se posso dirlo, anche nell’Ue. Le nostre istanze dimostrano che c’è un problema strutturale, che va preso seriamente”.

Come ‘ministro’ degli Esteri si aspettava un maggiore appoggio da parte di altri capi di Stato e di governo?

“Non lo abbiamo mai chiesto: la nostra priorità era riuscire a spiegare le nostre ragioni, che cosa faremo il 1° ottobre e perché. Non conta che ci siano dichiarazioni pubbliche a nostro favore, ma che si parli di una questione che riguarda valori condivisi. Non chiediamo un riconoscimento, ma l’ascolto, perché altrimenti le conseguenze di questo processo saranno poi difficili da gestire. E – se ci sono domande – l’opportunità di rispondere”.

Se la Catalogna riuscisse davvero – in un modo o nell’altro – a ottenere l’indipendenza, uscirebbe anche dall’Unione europea. E se volesse poi aderirvi, la Spagna potrebbe opporre il veto al suo ingresso.

“L’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea stabilisce le condizioni per entrare nell’Ue, così come l’articolo 50 individua quelle per uscirne. Ma in nessun articolo si parla di come diventare uno Stato membro avendo già fatto parte dell’Unione. Ci sono 7 milioni e mezzo di cittadini catalani che sono anche cittadini europei, 6mila aziende europee con sede in Catalogna, 17 milioni di turisti che vengono qui ogni anno: non c’è ragione per pensare che i Paesi membri – inclusa la stessa Spagna – vogliano escluderci. E noi saremo aperti a negoziare il nostro ingresso. Ma non darei per scontata nessuna ipotesi, né quella di una nostra adesione – subordinata appunto a dei negoziati – né quella di una Catalogna fuori dall’Ue, perché quello che ci riguarda non è uno scenario previsto dai Trattati”.

C’è un articolo della Costituzione spagnola, il n. 155 (affine al nostro art. 117 sul rapporto Stato-Regioni, ndr), che dà diritto al governo di “adottare le misure necessarie perché un’Autonomia rispetti i suoi obblighi, qualora stia attentando all’interesse generale del Paese”. Pensa che Madrid lo applicherà?

“Non possiamo saperlo. Ma qualcosa in questo senso è già stato fatto. Il “commissariamento” dei fondi catalani è stato deciso con le stesse motivazioni – e cioè “a difesa dell’interesse generale e a garanzia dei servizi pubblici” -, ma attraverso l’emanazione di decreto, procedura ben più semplice di quella richiesta per l’applicazione dell’articolo 155”.

Avevate chiesto a Madrid di dialogare con voi. Arrivati a questo punto, valutereste ancora proposte alternative alla secessione, magari una riforma dello Statuto?

“Siamo sempre disposti a negoziare. Ma, in primo luogo, non possiamo sedere al tavolo da soli e in secondo luogo manca una proposta. Avevamo invitato il governo spagnolo a farne una, che non è mai arrivata, mentre le nostre sono sempre state ignorate. L’unica proposta accettabile per le persone, ad oggi, è votare”.

Da Affarinternazionali.it

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