La prima volta alla Leopolda di Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl e sindacalista ad alto tasso di innovazione, è stata una delle principali novità del meeting fiorentino. Bentivogli ha riassunto in uno slogan, che sintetizza una visione del sindacato moderno, il suo intervento che si è espresso con chiarezza anche sul prossimo referendum: “Indipendenti ma non indifferenti”. Il sindacato di cui Bentivogli ha parlato è il sindacato che rompe con qualsiasi collateralismo senza rinunciare alla sua vocazione politica sindacale, alla sua capacità di farsi soggetto educatore.
Si può quindi mantenere la propria indipendenza – questo il senso del ragionamento svolto durante la kermesse fiorentina – anche se ci si schiera a favore della riforma costituzionale, perché non c’è bisogno di avere in tasca la tessera di un partito, nemmeno quella del Pd, per esercitare il proprio giudizio con libertà e senza paura dell’etichettificio italiota. Purché lo si faccia, come nel caso della Fim, entrando nel merito delle questioni che hanno ricadute dirette sul lavoro, non per “conformismo o per smania modernista”.
È il caso del titolo V e delle modifiche apportate nel 2001, che “hanno bloccato economia e innovazione”. Ma anche del bicameralismo paritario, che ha reso l’iter delle leggi “farraginoso e poco lineare”. Parole che in un crescendo di applausi arrivano al boato con la Leopolda in piedi ad applaudire. Una presa di posizione netta eppure lontana da manicheismi: “Sì e No hanno pari dignità , ma un sindacato intelligente non può mettere sullo stesso piano le diverse conseguenze”.
“Non ci accodiamo all’accolita di politici e sindacalisti sempre su con il picco glicemico del rancore, come quelli che ad ogni accordo in assemblea e fuori ci dicono che bisognava fare di più e di solito son quelli che non fan nulla”. Una presa di posizione che discende da un’idea altrettanto netta del rapporto che il sindacato deve coltivare con la politica: “Serve un sindacato che fa solo e bene il sindacato, geloso della propria autonomia da aziende, partiti e istituzioni. Le cinghie di trasmissione, i collateralismi politici appartengono ad un sindacato vecchio, ormai sterile, che è l’opposto del sindacato generativo”, ha messo in chiaro Bentivogli scaldando la platea, che lo applaudito a più riprese.
Sono gli stessi concetti che tornano nel libro (“Abbiamo rovinato l’Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato” edito da Castelvecchi) che il leader della Fim ha dato da poco alle stampe, una riflessione senza peli sulla lingua su presente e futuro del sindacato. Sul futuro, soprattutto, Bentivogli ha le idee chiare, e davanti alla platea della Leopolda le ha esposte in modo sintetico ma circostanziato: c’è un sindacato che serve, al Paese prima che a se stesso, e un sindacato che non serve, che fa da zavorra alla collettività.
Il primo in questi anni di crisi ha saputo tenere insieme “emergenza e prospettiva, dicendo sempre la verità ai lavoratori. È un sindacato che non teme il futuro, che sta dentro la sfida del cambiamento, che sa che alla vigilia della quarta Rivoluzione industriale bisogna giocare d’anticipo per costruire un ecocosistema 4.0”. Il secondo ha preferito rinchiudersi nella protesta, ha battuto la strada dell’ “antismo astratto” e si è gradualmente ma irresistibilmente lasciato attrarre dal magnete del populismo: “È una cosa che ci fa provare rabbia, per questo abbiamo deciso di contrastare il saccheggio populista di quella che fu la coscienza operaia”.
Un impegno che è politico e morale insieme. Perché, ha insistito Bentivogli, “il sindacato ha una irriducibile radice etica, è una delle più belle forme di solidarietà collettiva” e, come ha detto Papa Francesco all’indomani del Terzo incontro con i movimenti popolari a cui anche il leader Fim ha partecipato con una delegazione dei metalmeccanici Cisl, “rappresenta un impegno quotidiano contro la paura”.
Bentivogli non lo ha citato, ma di sicuro il pensiero di molti è andato al caso Fiat, alla lunga scia di polemiche, rancori, di violenze (la Fim ne ha fatto le spese più delle altre sigle sindacali con sedi assaltate, aggressioni, dirigenti sotto scorta), seguita all’accordo separato di Pomigliano del 2010. La contrapposizione che si è delineata allora tra due concezioni antitetiche del sindacato ha marcato tutto il periodo della crisi. E non ne siamo ancora fuori.
“C’è chi in questi anni di crisi tremenda – ha scandito Bentivogli – ha cercato in ogni modo di tenere insieme i lavoratori; ma c’è anche chi ha preferito andare in giro a cercare applausi, evitando sapientemente le crisi più difficili, sfoderando tutto il suo armamentario ideologico per strappare qualche applauso: in questo modo però ha ingannato i lavoratori nascondendo loro la verità in modo sistematico”.
Di questa distinzione farebbe bene a tener conto anche il Governo – ha detto Bentivogli senza nascondere il fastidio per certe uscite passate del premier Renzi – visto che “generalizzare aiuta il sindacato di cui si può e deve fare a meno”, quello che si nasconde dietro l’ideologia, certo, ma anche quello che “confonde il diritto con l’abuso dei diritti”, che utilizza “i certificati di malattia al posto dello sciopero”. Una pratica intollerabile specie agli occhi di chi “rappresenta i lavoratori dell’Ilva, che la notte di Capodanno stavano all’altoforno 5, il più grande d’Europa, ed erano presenti al 98%”.
Bentivogli ha strigliato anche il Pd, dicendo, “troppi vostri dirigenti non comprendono l’importanza di un sindacato forte e rinnovato e conoscono i sindacalisti solo dalla Tv, solo un sindacato nuovo e radicato può dare forma e contenuto positivo alla rabbia e alla disperazione, elemento centrale per chi deve avere una visione profonda del paese e del suo futuro”.
C’è ancora tanta solidarietà nel lavoro e nei mondi vitali del paese che in questa fase bisogna mettere insieme e che autorizza alla speranza, a credere in un Paese che su questa strada deve mostrare il suo volto “più bello e fraterno a chi ha subito i danni del terremoto, a chi ha perso o non trova lavoro e ai migranti, da accogliere come fratelli e sorelle perché nessuno nel nostro Paese si senta straniero”.