Doveva essere una formidabile arma antievasione, ma ormai è quasi sparito dai radar. Il redditometro è diventato “sempre più marginale nella complessiva strategia di contrasto dell’evasione fiscale”, scrive la Corte dei conti nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello Stato.
Eppure, le aspettative erano alte. La “versione 2.0” del redditometro ha visto la luce nel 2013. All’epoca si diceva che il nuovo sistema dell’Agenzia delle Entrate avrebbe permesso di stanare migliaia di evasori confrontando stili di vita e reddito sulla base di oltre 100 voci di spesa: dalla benzina alle barche, dai gioielli alla pay tv.
A livello tecnico, il redditometro può basarsi sia su “dati puntuali”, come quelli ricavabili dalle dichiarazioni dei redditi o dalle bollette, sia su valori ricavabili dall’anagrafe tributaria. Se questi ultimi non fossero disponibili, il Fisco verifica le spese medie calcolate dall’Istat ed esaminate per aree geografiche.
In teoria, il redditometro avrebbe dovuto produrre una significativa quantità di gettito aggiuntivo (come ricorda Il Sole 24 Ore, si parlava di 741,2 milioni nel 2011, 708,8 nel 2012 e 814,7 milioni nel 2013), ma i numeri della magistratura contabile raccontano una realtà molto diversa. Nel 2016 sono stati realizzati soltanto 2.812 accertamenti, con un calo del 52% sul 2015 e di addirittura il 92% rispetto al 2012.
Gli “esiti finanziari” del redditometro, come scrive la Corte dei Conti, si sono fermati a 2 milioni di euro. Nella fascia che va da zero a 1.549 euro di reddito mensile si sono trovate violazioni in poco più di un caso su 5 (il 21%), mentre la “grande evasione” viene contestata nell’11,5% dei casi.