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Reddito e disuguaglianze: dov’è finita la classe media?

FOCUS BNL – Negli ultimi anni la disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile è cresciuta in tutti i Paesi avanzati e in Italia tende a riprodursi fra le generazioni più che altrove: titolo di studio, professione e titolo di godimento dell’abitazione dei genitori rappresentano fattori discriminanti e significativi del reddito percepito – Si stima che i trentenni con genitori laureati abbiano in media un reddito più alto del 29% di chi non li ha

Reddito e disuguaglianze: dov’è finita la classe media?

Negli ultimi anni la disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile è cresciuta in tutti i Paesi avanzati e oggi appare elevata soprattutto negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Giappone. A ridosso dei Paesi con la maggiore concentrazione compare l’Italia, con un valore superiore alla media Ocse. Negli Stati Uniti, la concentrazione del reddito ha assunto una rilevanza consistente, fino a divenire un elemento centrale della campagna elettorale dei candidati alle prossime elezioni presidenziali.

Nel corso degli ultimi 15 anni negli Usa si è assistito a una riduzione del reddito mediano, passato dai quasi 78mila dollari del 1999 ai 73mila del 2014. Il fenomeno si è accompagnato a una crescente polarizzazione verso le classi estreme a danno della cosiddetta classe media, che oggi rischia di perdere il primato di classe economica più rappresentativa del Paese.

In Italia la forte concentrazione osservabile nel reddito disponibile è una condizione in larga parte ereditata dal passato e che la recente crisi ha solo lievemente peggiorato, pur in presenza di una generale contrazione del reddito. Secondo la Banca d’Italia, dal 2012 al 2014 la quota di popolazione a basso reddito in Italia è salita, fino a rappresentare il 21% circa del totale, a fronte di una flessione della classe media e di una sostanziale stabilità della quota dei ricchi.

La crisi scoppiata nel 2008 ha avuto in Italia un impatto più sull’ammontare dei redditi che sulla loro distribuzione. Dopo aver toccato un picco all’inizio degli anni Novanta, i redditi medi annui da lavoro dipendente (valutati a prezzi 2014) hanno imboccato un sentiero discendente e a fine 2015, nonostante un lieve recupero, sono tornati sui livelli di fine anni Settanta. Per contro, un sostegno è arrivato dalla crescita dei redditi medi da pensione e da quelli da fabbricati.

L’effetto complessivo è che il reddito disponibile annuo netto, in termini reali, è oggi del 54% più alto che nel 1977. Le disuguaglianze nel nostro Paese tendono a riprodursi fra le generazioni più che altrove. Oggi titolo di studio, professione e titolo di godimento dell’abitazione dei genitori rappresentano fattori discriminanti e significativi del reddito percepito: si stima che i trenta-quarantenni del 2011 che a 14 anni avevano un genitore con istruzione universitaria dispongano in media di un reddito del 29% più alto di chi aveva i genitori con un livello di istruzione basso.

Dall’indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia si ricavano informazioni interessanti anche sulla composizione del reddito delle famiglie: a metà degli anni Settanta il 75% circa della popolazione italiana viveva in famiglie il cui reddito derivava per almeno i due terzi da lavoro. Tale quota è scesa in modo costante, con alcuni brevi periodi di recupero, per arrivare nel 2008 al 55%. Da allora è ulteriormente diminuita, fino a raggiungere il 52% circa del 2015. Per contro, la quota di famiglie il cui reddito proviene per la maggior parte (due terzi) da pensioni è cresciuta costantemente dal 12% circa di metà anni Settanta, e oggi è pari a circa il 20%.

Uno dei trend più netti evidenziati da tutti i dati a disposizione è il graduale peggioramento delle condizioni reddituali delle generazioni più giovani. La Banca d’Italia, riportando dati INPS, evidenzia come tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Duemila la retribuzione settimanale d’ingresso sia diminuita in termini reali del 20% circa. Il calo si è peraltro accompagnato a un rallentamento nella progressione delle posizioni retributive.

Una recente indagine Istat, analizzando le variabili che determinano le disuguaglianze nel reddito lordo da lavoro (considerato a sua volta principale causa delle disuguaglianze economiche), osserva come in Italia il reddito mediano degli occupati di età compresa tra i 25 e i 39 anni sia oggi inferiore a quello degli occupati tra i 50 e i 59 anni in misura pari al 20-40%, a seconda del settore considerato.

Si tratta di una differenza che in termini assoluti significa tra 5.600 e 11.300 euro l’anno in meno per la stessa posizione lavorativa. I giovani sono poi più penalizzati dalla maggiore precarietà del posto di lavoro. In base a tali elementi si stima che il reddito atteso lungo l’intero ciclo di vita, per le generazioni più giovani, sarà più basso di quelle precedenti, e il divario tenderà peraltro ad allargarsi durante la fase di pensionamento, a causa dell’introduzione del metodo contributivo.

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