“Non abbiamo gli strumenti di verifica, soprattutto quelli relativi all’accertamento del patrimonio mobiliare di chi accede al beneficio: quindi a posteriori potremmo trovarci a fare un’azione di recupero nei confronti di famiglie che non se la passano bene, più di 100mila nuclei familiari a cui potremo richiedere indietro anche 10mila euro”. L’avvertimento arriva dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, intervenuto lunedì sera alla trasmissione di La7 Otto e mezzo.
“Sarebbe meglio attrezzarci per i controlli prima e non dopo di erogare il reddito”, ha spiegato ancora Boeri, sottolineando che l’operazione richiederebbe alcuni mesi. Tempi tecnici che però si scontrano con le esigenze della politica: dal punto di vista della maggioranza, infatti, è chiaro che l’erogazione del reddito di cittadinanza debba partire prima delle elezioni europee di maggio.
QUANTE PERSONE NE HANNO DIRITTO? INPS E ISTAT CONTRO IL GOVERNO
Un altro punto controverso della misura-bandiera pentastellata è la platea di riferimento. Sempre lunedì, nel presentare la nuova card con cui il reddito sarà distribuito, il ministro del Lavoro e leader grillino Luigi Di Maio ha ripetuto due volte che “lo Stato erogherà il reddito a 5 milioni di persone, 1,7 milioni di famiglie”.
Poco prima ancora Boeri, stavolta in audizione al Senato, aveva dato numeri completamente diversi: secondo l’Inps, la platea potenziale del reddito è composta da 1,2 milioni di famiglie per un totale di 2,4 milioni di poveri. Anche l’Istat, sempre in audizione parla di 1,3 milioni di famiglie e 2,7 milioni di individui. Lo stesso governo, nella relazione tecnica al decretone, parlava di 1,248 milioni di famiglie, che però secondo Pasquale Tridico, consigliere del ministro Di Maio, corrispondono a “4 milioni di poveri”.
PIÙ DELLA METÀ DEI SUSSIDI AI SINGLE: “FAMIGLIE DANNEGGIATE”
Ma non è finita. Sempre secondo Boeri, la metà delle famiglie che hanno diritto al reddito non percepisce formalmente alcuna entrata, ma “fra di loro si celano anche gli evasori e i sommersi totali”.
Inoltre, “la tipologia di nucleo su cui è concentrato il RC è quella dei single – spiega ancora il numero uno dell’Inps – che rappresentano più del 55% dei nuclei beneficiari. Questa concentrazione del RC, in termini sia di beneficiari che di quota di risorse, sui nuclei con un singolo componente è dovuta alla peculiare scala di equivalenza adottata dal RC, che non trova corrispettivo in alcuna delle scale di equivalenza utilizzate a livello internazionale per graduare i trattamenti assistenziali in base al numero dei componenti il nucleo famigliare, oltre che dall’imposizione di un tetto (fissato a 2,1 volte il livello assegnato a un single) a questo aggiustamento. Tutto questo riduce il beneficio in termini di benessere economico personale per i nuclei con figli o comunque numerosi, quelli dove si registrano i tassi di povertà più elevati”.
Per Boeri il problema è che il reddito di cittadinanza “fissa un livello di prestazione molto elevato per un singolo e quindi, per esigenze di contenimento della spesa”, riduce in proporzione l’aiuto previsto per le famiglie numerose.
“L’ASSEGNO TROPPO ALTO SCORAGGIA IL LAVORO”
Non solo: “Il livello di prestazione elevato per un singolo ha come ulteriori controindicazioni il fatto di rischiare di spiazzare i redditi da lavoro – continua il Presidente dell’Inps – Basti pensare che, secondo i dati Inps, quasi il 45% dei dipendenti privati nel Mezzogiorno ha redditi da lavoro netti inferiori a quelli garantiti dal RC a un individuo che dichiari di avere un reddito pari a zero. Quanti percettori di RC avranno trasferimenti così alti? Secondo le nostre stime, circa il 30% dei percettori del RC riceverà un trasferimento uguale o superiore a 9360 euro netti. Il valore mediano della distribuzione dei trasferimenti è attorno ai 6000 e che è pur sempre più alto dei redditi da lavoro del 10% più basso della distribuzione dei redditi da lavoro”. Morale della favola: “Tutto questo fa pensare che gli effetti di scoraggiamento al lavoro siano rilevanti”.
Alle stesse conclusioni arriva anche Confindustria. Secondo Pierangelo Albini, direttore dell’area Lavoro e Welfare dell’associazione degli industriali, “i 780 euro mensili potrebbero scoraggiare dal cercare un impiego considerando che in Italia lo stipendio mediano dei giovani under 30 si attesta a 830 netti al mese”.