Marcia indietro della marcia indietro. Reddito di cittadinanza e controriforma Fornero delle pensioni (a cominciare da quota 100 e taglio ai trattamenti “d’oro”) torneranno nella legge di bilancio attraverso due emendamenti. Subito prima che la manovra arrivasse al Quirinale – da dove ieri è stata trasmessa al Parlamento – il governo aveva deciso di stralciare le misure-bandiera dal testo, per spostarle in due disegni di legge.
L’obiettivo era probabilmente ammorbidire il giudizio della Commissione europea sulla finanziaria. Anche se, in realtà, lo spostamento non modificava i saldi del bilancio pubblico, lasciando il rapporto deficit-Pil 2019 al 2,4%, molto oltre la soglia ritenuta accettabile da Bruxelles.
Il problema riguardava i tempi. Dirottare reddito di cittadinanza e pensioni fuori dalla manovra (per la quale è prevista una corsia preferenziale in Parlamento) avrebbe significato farne slittare l’approvazione ai primi mesi del 2019, con il rischio di non produrre effetti concreti in tempo per le europee di maggio. Un prezzo politico troppo alto da pagare, dal momento che le due misure saranno al centro della campagna elettorale di 5 Stelle e Lega. E così, i due interventi usciti dalla porta rientreranno a breve dalla finestra via emendamento.
Fra le altre misure inserite nella manovra c’è anche una stretta sul tabacco, da cui il governo conta di recuperare l’anno prossimo 132,6 milioni in più. L’aumento del costo di 10 centesimi per i pacchetti di sigarette non è ancora certo, ma è molto probabile. Scatta anche un nuovo rincaro della tassazione sui giochi che porterà, nel 2019, 239 milioni di euro in più nelle casse dello Stato, di cui 119 arriveranno dalle cosiddette “videolotteries”.
Intanto, il 13 novembre scadrà l’ultimatum della Commissione europea all’Italia sui saldi della manovra, ma il governo Conte ha già annunciato che le richieste di Bruxelles non saranno accolte. A quel punto, il 21 novembre inizierà l’iter per la procedura d’infrazione contro il nostro Paese, che partirà a inizio 2019. Una punizione che rischia di tenere il Paese ancorato per almeno cinque anni a una cura da cavallo per risanare i conti, fino ad azzerare del tutto il deficit.