Cosa succederà al Reddito di cittadinanza e alle pensioni con la vittoria del centrodestra capeggiato da Fratelli d’Italia? Due temi caldi che hanno incentrato il dibattito politico di questa campagna elettorale. Il centrodestra, come altri, però, non ha presentato le coperture per tutte le promesse garantite agli elettori. Questo vuol dire che bisognerà aspettare ancora un pò per capire quali di questi obiettivi potrà essere effettivamente realizzato. Intanto però, analizziamo come il governo di Centrodestra vuole cambiare il Reddito di cittadinanza e le pensioni con l’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.
Reddito di cittadinanza e pensioni: cosa succede ora?
La misura cavallo di battaglia del M5s è sul punto di essere rivisto. Dopo aver dichiarato in più occasioni che il Reddito di cittadinanza non era altro che “metadone di Stato, inutile e dispendioso”, a pochi giorni dalla vittoria la leader di FdI cambia posizione e parla di una “ricalibrazione” per proteggere i più fragili. Non cancellato del tutto, quindi, ma modificato sì. Una visione più in linea con Salvini, che sul Reddito di cittadinanza si è mostrato sempre cauto rispetto alla leader di Fratelli d’Italia (anche perché la Lega faceva parte del Governo che l’ha introdotto).
Del resto, anche il premier Mario Draghi, al momento del suo insediamento, aveva ritenuto necessaria una ristrutturazione della misura, arrivata con il primo decreto Aiuti, allo scopo di incentivare la ripresa delle attività lavorative e di rafforzare il filo diretto fra beneficiari e Centri per l’impiego.
C’è poi il nodo delle pensioni. La risposta arriverà nella prossima legge di Bilancio, ma senza un intervento del nuovo Governo, il 1° gennaio 2023 tornerà la legge Fornero a causa del poco tempo a disposizione per impostare la Manovra e degli elevati costi che qualsiasi novità sulle pensioni comporta per lo Stato.
Ecco nel dettaglio le proposte del centrodestra su Reddito di cittadinanza e pensioni.
La “ristrutturazione” del Reddito di cittadinanza secondo il centrodestra
A grandi linee Meloni punta a cambiare il sussidio di sostegno sociale alla povertà per tutelare i soggetti privi di reddito, effettivamente fragili e impossibilitati a lavorare o difficilmente occupabili: disabili, over 60, nuclei familiari con minori a carico. Tutte le altre persone tra i 18 e i 60 anni che sono considerati abili al lavoro e senza minori a carico dovrebbero invece essere indirizzati verso lavori o corsi di aggiornamento e formazione per il lavoro.
Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Inps, nei primi sette mesi del 2022 i nuclei beneficiari di almeno una mensilità del Reddito di cittadinanza o di Pensione di cittadinanza sono stati 1,61 milioni, per un totale di 3,53 milioni, di persone, di cui un terzo occupabile. Questo ha avuto un impatto negativo sul mercato del lavoro, soprattutto per il terziario che non è riuscito a trovare i profili richiesti.
Anche in questo caso, però, si tratterà di valutare le risorse a disposizione. Probabilmente si partirà da una riduzione dei fondi destinati al Reddito di cittadinanza: dalla sua nascita ad oggi sono già stati spesi ben 23 miliardi e più di 30 ne sono stati messi in conto fino al 2029. Lo scopo della ristrutturazione della misura è quello di ridurre di almeno un terzo il denaro per esso stanziato. Come? Riducendo il numero dei beneficiari e stringendo gli obblighi di lavoro (il sussidio decade dopo due offerte di lavoro rifiutate, ma il centrodestra potrebbe tagliare ancora introducendo un solo rifiuto).
Pensioni: riforme o proroghe?
I tempi tecnici per formare la nuova squadra di Governo difficilmente consentiranno di mettere mano, da qui a fine anno, a una riforma strutturale delle pensioni, con la legge di bilancio da approvare.
Il 31 dicembre 2022 scade Quota 102 (pensione anticipata con 64 anni di età e 38 anni di contributi) ma anche Ape Social e Opzione Donna. La seconda è rivolta a disoccupati, caregiver e lavoratori con un grado di invalidità pari o superiore al 74% e dà loro la possibilità di andare in pensione a 63 anni di età e 30 di contributi, mentre la terza riguarda lavoratori dipendenti che svolgono attività particolarmente gravose, e che possono andare in pensione a 63 anni con 36 anni di contributi.
Dunque, c’è poco tempo per il nuovo Governo a trovare una quadra sul tema ed evitare un ritorno alla legge Fornero integrale (pensione a 67 anni). Il fenomeno avrà un impatto tangibile sui conti dello Stato anche per quanto riguarda la rivalutazione delle pensioni dal 1° gennaio 2023, per cui serviranno non meno di 8/10 miliardi a fronte di un’inflazione che morde e restringe il potere d’acquisto delle famiglie, già colpito dalle spese energetiche. Motivo per cui è probabile che si vada per il prossimo anno a una proroga delle misure attualmente vigenti in materia di pensioni.
Stop alla Fornero e minime a 1.000 euro: le promesse del centrodestra
Il programma della coalizione di Centrodestra ha come punti l’innalzamento dell’importo della pensione e la flessibilità in uscita. Ma la rotta da tracciare resta ancora del tutto incerta.
Nello specifico, Forza Italia prevede l’innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità a 1.000 euro. Un intervento che richiederebbe diversi miliardi: circa 31,2 miliardi stimati. Mentre il leader della Lega, Matteo Salvini, ha puntato tutta la sua campagna su Quota 41 (pensione anticipata con 41 anni di contributi versati). Una riforma gradita ai sindacati ma che rischia di bucare i conti pubblici: secondo le stime dell’Inps si arriverebbe a 4 miliardi il primo anno per poi salire a 10 miliardi a regime, con una spesa complessiva decennale di 75 miliardi di euro.
Più cauta Giorgia Meloni che oltre all’innalzamento delle pensioni minime propone lo stop all’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, il rinnovo di Opzione Donna e il ricalcolo delle “pensioni d’oro”. Ma si tratta di riforme in linea teorica, senza riferimenti a costi e modalità, così per le pensioni come per il Reddito di cittadinanza.