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Recovery: se le riforme non precedono, i soldi Ue non seguono

FIRSTonline

Esaurita la fase delle politicamente facili promesse elettorali su come spendere i fondi UE, ora si apre la fase più ardua che riguarda  la volontà riformatrice e la capacità politica della coalizione di governo che deve transitare nelle aule parlamentari per l’approvazione. Sarà un lavoro impegnativo dato che molte delle riforme annunciate nei diversi capitoli delle “Linee guida” postulano, come ovvio, la modifica di svariate ed importanti leggi in vigore, oltre alla legge elettorale egualmente impegnativa.

Stupisce quindi che nel IV capitolo delle “Linee guida”, dall’impegnativo e promettente  titolo“Politiche e  riforme di supporto” (pp.24-35),  il piatto forte siano le politiche mentre  le riforme  ne sono  soltanto il contorno. Non a caso dunque nelle “Linee guida” altrettanto stupisce che non venga indicata alcuna legge civile, penale o amministrativa che sia ancora oggi vigente da cassare interamente o rivedere ed emendare e correggere, seppure a pag.33 si ipotizza la revisione del diritto penale, di quello civile e di quello societario, tanto per esemplificare. Invece, le riforme legislative dovrebbero costituire il piatto forte da presentare alla UE per rendere credibili i progetti di spesa da finanziare con i fondi della stessa UE. In altre parole, se le riforme legislative regolamentari non precedono, i soldi  UE non arrivano.

Sarebbe dunque opportuno avviare fin da subito la ricerca delle normative da emendare per rendere attuabili le proposte  di spesa. A questo fine, una agile e poco numerosa commissione parlamentare potrebbe iniziare i lavori, eventualmente assistita da una altrettanto agile commissione di tecnici di ogni settore professionalmente capaci di muoversi nell’intreccio delle più diverse legislazioni. 

Ad esempio, si prenda il caso della pubblica amministrazione del ruolo centrale assegnatole nelle “Linee guida”. È noto a tutti coloro che hanno avuto a che fare per l’ottenimento dei fondi pubblici, che da sempre si deve percorrere un percorso sempre  incidentato dal rispetto e dall’intreccio delle norme di tutti gli ordinamenti giuridici, amministrativi, penali e civili, insieme a quelli esercitati dalla giustizia penale ed amministrativa come  il Tar il Condiglio di Stato e la Corte dei conti. Ne deriva un labirinto normativo e istituzionale oggi sempre più strenuamente difeso dalle rispettive corporazioni entro i confini incerti tra politica e amministrazione. 

Oggi si è molto ipotizzato sugli effetti positivi potenzialmente derivanti dalla nuova domanda aggregata creata dalla spesa dei fondi UE: finanziata con nuovo debito da restituire per 170 miliardi di euro e da grants per circa 70 miliardi. I primi transiteranno per i bilanci delle Amministrazioni pubbliche, i secondi ragionevolmente per la sola tesoreria del Ministero del tesoro. Nel totale si tratta di circa 210 miliardi di euro con rate annuali di circa 70 miliardi. E’ un ammontare di spesa pubblica che corrisponde all’incirca al +8-9% del totale della spesa annua delle AP (870 mld); a circa due volte la sola spesa delle AP per investimenti fissi lordi (40 mld nel 2019).e a 2 volte l’ intera spesa in conto capitale (60 mld).

La pubblica amministrazione sarà in grado di offrire e dimostrare che dispone di una tale potenza di fuoco per ottenere i fondi UE? A tal fine innovando radicalmente rispetto al passato, e ci racconta il passato, occorrerà associare ad ogni progetto l’elenco delle nuove procedure, delle nuove normative che rendano credibili la realizzabilità nei tempi concordati di esecuzione degli stessi. Sarebbe dunque ora di fare evaporare la nebbia politica che circonda le svariate proposte di riforma,  in vista del dibattito politico e parlamentare che deve accompagnare siffatta evaporazione. Una volta si chiamavano riforme a costo zero, al fine di sottacere che si trattava come oggi  di riforme a elevati rischi di natura politica e non tecnica, come purtroppo lasciano immaginare in trasluce  le “Linee guida”.

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