L’Italia che frana – sempre, in ogni stagione dell’anno, in montagna o lungo le coste – nel Recovery plan preparato da Conte non c’è. Nel super Ministero della transizione ecologica che Grillo ha strappato a Draghi chissà se troverà posto un progetto organico per mettere finalmente l’Italia in sicurezza. Oggi le competenze politiche ed amministrative sono suddivise tra Ministeri, Regioni, Enti intermedi, tutti da anni a corto di soldi.
Renzi, al governo nel 2014, aveva varato la struttura Italia Sicura, poi chiusa nel 2018 dal primo governo Conte in quanto ritenuta di scarsa efficacia. Passi avanti, però, non se ne sono visti, nonostante le fallaci esultanze green dei Cinquestelle. Tutt’altro. il dissesto idrogeologico si è accompagnato sempre più ai cambiamenti climatici. Due notizie di questi giorni su tutte: il crollo sotto la neve del Pala ghiaccio di Vipiteno e le frane sulla costiera amalfitana. Per quanto tempo ancora potremo avere disastri miracolosamente senza vittime?
La forza di buoni poteri pubblici sta prima di tutto nella salvaguardia delle vite umane. La pandemia ha reso tutti più consapevoli nel fronteggiare le emergenze, ma non ha ancora costruito la necessaria rete di protezione del territorio. Sono allarmati i Sindaci come i Presidenti di Regione, quelli delle Comunità montane, gli addetti della Protezione civile. Prima di altre sciagure, quando ci si appresta a riscrivere il Recovery plan i geologi hanno denunciato gli investimenti “quasi nulli” previsti dal governo giallorosso.
Non è la mossa di una lobby verso un nuovo esecutivo. Puntare sulla prevenzione, come da anni sentiamo ripetere, significa investire con criteri oggettivi. “Nel PNRR nei 18 miliardi destinati all’energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile, non viene contemplata la geotermia a bassa entalpia e il mini idroelettrico, nonostante siano le nuove frontiere delle energie rinnovabili. Inoltre, dei 15 miliardi previsti per la tutela del territorio e della risorsa idrica, appena 3,61 miliardi sono riservati agli interventi sul dissesto idrogeologico, di cui 3,36 miliardi sono risorse già stanziate nel 2019″.
Sono le cifre contenute nel documento che il Consiglio Nazionale dei Geologi ha messo sul tavolo del nascente governo. C’è bisogno di investimenti che consentano una pianificazione di ampio respiro. E invece, guarda caso, chi nel precedente governo ha curato questa parte del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha previsto soltanto interventi orientati all’immediato e alle situazioni di emergenza. Non c’è nulla per gli interventi cosiddetti non strutturali orientati ad aggiornare e mettere a sistema le conoscenze, presidiare, monitorare e manutenere il territorio.
Con Mario Draghi la tecnica e le competenze torneranno a guidare le scelte politiche. Dovranno fare terra bruciata di errori, sottovalutazioni e assurdità preconcette. I tecnici di professione se lo augurano. Dalla loro esperienza in campo dicono che nel caso in cui gli interventi strutturali non risultassero efficaci in termini tecnico-economici, occorrerà favorire ed incentivare le delocalizzazioni e la rigenerazione urbana dei territori a rischio.
Operazioni niente facili, ma sappiano i nuovi inquilini del Palazzo che ogni anno ci sono oltre 620.000 frane per un costo stimato di oltre 65 miliardi. Grillo sarà contento del “suo” super Ministero, ma bisogna avere tanta fiducia affinché funzioni e sappia partire dai territori.