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Recovery Plan, governance decisiva per Assonime e Fondazione La Malfa

Imagoeconomica

Recovery Plan, come gestirlo? Mentre il premier Giuseppe Conte ha puntato tutto su una controversa “cabina di regia” (poi ritirata di fronte alla levata di scudi di Matteo Renzi), dal mondo imprenditoriale e accademico continuano ad arrivare proposte. Assonime, l’associazione fra le società italiane per azioni, e Fondazione La Malfa, che avevano già presentato i rispettivi documenti in proposito, si sono confrontate nuovamente in un incontro virtuale al quale hanno dato i loro contributi altre personalità del calibro di Romano Prodi, Sabino Cassese, Franco Bassanini, Carlo Cottarelli, Marcello Messori e altri. Le due proposte sono state rievocate e concordano sulla necessità di una governance ad hoc, per non sprecare un’occasione storica: l’Europa sta riconoscendo all’Italia un plafond di sussidi e prestiti che nell’insieme supera i 200 miliardi di euro. A patto però di rispettare gli obiettivi per cui questi soldi vengono erogati e di fare le necessarie riforme.

“Per la governance ci sono due strade – ha esordito Giorgio La Malfa -. Coinvolgere una rete di enti pubblici nazionali, territoriali e locali e poi cercare una sintesi, come vorrebbe fare il Governo, oppure creare strutture straordinarie che coordino gli interventi relativi al Next Generation EU e ne assicurino la realizzazione. Ed è quello che proponiamo noi: a situazioni straordinarie debbono seguire risposte straordinarie”. La Malfa ha poi paragonato l’attuale situazione a quella del Piano Marshall nel Dopoguerra: “L’Ue ci riconosce una cifra gigantesca, superiore al Piano Marshall in proporzione al Pil. Il Governo ha commesso un grave errore a inizio agosto: ha inviato una lettera ad amministrazioni centrali e periferiche chiedendo di presentare progetti. Ma ne sono arrivati troppi e non tutti di qualità, e così facendo il progetto ha perso unità di impostazione”.

Anche ai tempi del Piano Marshall, gli Stati Uniti criticarono l’Italia per la lentezza nell’utilizzare le risorse. “Già all’epoca – ha detto La Malfa – l’accusa era che le pubbliche amministrazioni italiane non funzionavano. Anche la Banca Mondiale ci disse che andava costituito un ente speciale e così fece il presidente De Gasperi creando la Cassa del Mezzogiorno, che fu un momento storicamente positivo della ripresa del Dopoguerra. C’è questo precedente ma anche quello del Ponte Morandi, a cui guardare. E poi è necessaria una attività di controllo e vigilanza su questa governance: noi proponiamo una commissione parlamentare, nominata a maggioranza qualificata, perché è molto importante coinvolgere anche l’opposizione sul controllo di questo progetto”.

Stefano Micossi, direttore generale di Assonime, ha poi ricordato la proposta dell’associazione: “C’è un livello politico, dove si decide l’allocazione di massima delle risorse, per obiettivi, dopo un intenso confronto con parti sociali. E poi c’è il livello tecnico-gestionale, per la selezione e l’attuazione dei progetti, che per quanto ci riguarda deve essere affidato a un ministro per il Recovery Plan. Un ministro senza portafoglio ma che abbia tutte le deleghe necessarie e che sieda nel Cdm”. La differenza sostanziale con la proposta La Malfa sta nel fatto di non creare nuove strutture apposite, ma usare le strutture esistenti (i ministeri, con la sola nomina del super ministro che supervisiona tutto) e al limite fare ricorso alle consulenze esterne.

“Il problema vero – è poi intervenuto Franco Bassanini – è l’incapacità di alcuni governi di capire cambio di scenario e di paradigma. Il problema del debito pubblico è oggi un problema di sostenibilità nel lungo termine che si risolve nel denominatore del rapporto debito Pil e cioè nel Pil. Il Recovery tende a finanziare riforme strutturali e investimenti per rendere duraturi potenziale di crescita dell’economia e benessere e coesione sociale di un Paese. Uno dei veri limiti delle riforme fatte negli ultimi decenni era l’indisponibilità delle risorse necessarie: oggi invece queste risorse ci sono, ma bisogna fare le riforme. E al momento le indicazioni sono troppo generiche. Ci si limita a dire: ‘Bisogna farle’.”

“Qui non ci sono risorse da distribuire ma progetti da realizzare e finalità da raggiungere: è questo il ragionamento dei 62 punti presentati da Matteo Renzi“, ha detto Sabino Cassese, aggiungendo: “Per agire con rapidità bisogna liberarsi della Corte dei Conti e dell’Anac, preparando un documento di finalità. Gli obiettivi non sono indicati dall’Unione europea, gli obiettivi li dobbiamo indicare noi”. Infine, le considerazioni dell’ex premier Romano Prodi: “Sono un professore in pensione, quindi le pagelle non le do più – ha esordito Prodi -. Era evidente che si sarebbe scatenato quello che si è scatenato. Il punto sono le riforme, come è stato detto dai colleghi: occorrono alcune decisioni schock, soprattutto se facciamo il paragone col Dopoguerra, che significa cambiare assolutamente sistema. Servono anche la sospensione di alcune procedure e alcune garanzie, limitatamente all’attuazione del Recovery ovviamente”.

“Ho sempre detto, provocatoriamente, che sospendendo il Tar, cresceremmo subito del 5%. Vi faccio un esempio: la ferrovia adriatica ci costerebbe 60 miliardi. E’ più importante quella o fare di Taranto la Silicon Valley italiana? Sarebbero entrambe misure a favore del Mezzogiorno, ma sono scelte politiche che deve fare il Governo. Questo però non significa sospendere la democrazia: il Governo dovrà assolutamente confrontarsi col Parlamento, le Regioni, le parti sociali, ma assumersi una responsabilità politica. Una funzione di coordinamento potrebbe essere assunta dal Cipe: già era nel mio disegno rafforzarlo, farne un ente alla francese. Però un conto è la funzione tecnica, un conto l’analisi costi benefici, un conto gli obiettivi da raggiungere che rimangono una scelta politica”, ha detto Prodi. “Bisogna fare due o tre riforme esemplari, fatte con l’accetta e non con la lima”.

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