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Recovery: occasione per il Sud ma la governance di Conte non aiuta

Imagoeconomica

Da un po’ di tempo si sta assistendo a una ripresa del dibattito sul Mezzogiorno e al tentativo di dare una nuova lettura della storica problematica meridionale guardando al Sud in chiave nazionale ed europea. Una spinta decisiva è venuta dal radicale cambiamento che si è registrato a livello di UE, inteso a guidare l’uscita dalla epocale crisi generata dalla pandemia verso un percorso di sviluppo innovativo e delineato in un contesto di più forte integrazione europea. Per capire come il governo risponderà a questa spinta e alle opportunità che essa ha creato, si è ancora in attesa dei progetti e del disegno di governance che bisognerà approntare per accedere all’uso dei consistenti fondi europei. Nel frattempo, in questo periodo, tra vari altri soggetti, in particolare la Svimez, la Fondazione Astrid, l’Associazione Merita, il Centro Studi SRM collegato a Intesa San Paolo, stanno contribuendo alla riflessione e alla proposta con documenti e dibattiti. A questi ultimi hanno sempre partecipato membri del Governo che si sono limitati a elencare condivisibili esigenze ma non sono mai entrati nel merito dei progetti in preparazione, gelosamente custoditi nelle stanze di Palazzo Chigi. In questa sede si intende ragionare sulla questione riprendendo a grandi linee due recentissimi contributi. Il Rapporto 2020 della Svimez e il documento presentato dal Centro SRM assieme ad Aspen.

IL RAPPORTO SVIMEZ 2020

Il Rapporto 2020 della Svimez è, come al solito, molto ponderoso (oltre 700 pagine). I punti di maggiore interesse che si vogliono mettere in rilievo in questa sede sono tre.  

Il primo riguarda il dato di partenza: l’economia italiana ha incrociato i colpi della pandemia Covid-19 in condizioni estremamente critiche. In due decenni, tra il 2000 e il 2019, infatti, il Pil italiano è aumentato a valori costanti di soli 3.7 punti, determinando un arretramento rispetto al contesto europeo che ha accomunato l’intero Paese. Nello stesso periodo tutte le regioni italiane sono precipitate molto in basso nella graduatoria europea definita sulla base del Pil pro-capite. La Lombardia, ad es., che era al 17° posto è passata al 44°, l’Emilia dal 25° al 55°, il Piemonte dal 40° al 97°, la Campania dal 194° al 241°, la Calabria dal 212° al 252°. Ciò ha anche prodotto un allargamento del perimetro delle regioni italiane beneficiarie delle politiche europee di coesione, con l’agganciamento a queste ultime di Umbria e Marche e un pericolosissimo avvicinamento addirittura del Piemonte, della Toscana e del Friuli (scese dal 130% della media UE del 2000 al 103% del 2018). È l’intero Paese, quindi, che deve invertire il processo di declino, ponendosi un obiettivo di coesione che non riguarda più solo il Mezzogiorno. 

Il secondo aspetto da sottolineare riguarda l’ampia e articolata analisi dedicata alle persistenti caratteristiche di fragilità del tessuto sociale ed economico meridionale. L’analisi spazia dai mutamenti nel sistema delle imprese e nel mercato del lavoro alle condizioni della Pubblica amministrazione, dai divari di cittadinanza alle carenze nella formazione scolastica e universitaria, dall’invecchiamento demografico alla condizione femminile, dai mutamenti della geografia economica al peso dell’economia illegale, dalle politiche industriali dell’UE ai ritardi nell’uso dei fondi europei. Si tratta di problemi ripetutamente indagati nei passati Rapporti, ma in quello 2020 l’analisi mette in luce il forte peggioramento delle criticità innestato dalla pandemia e la loro potenzialità di divenire causa di ingovernabili tensioni sociali. Donne, Giovani e Formazione sono indicati, perciò, dal Rapporto come temi centrali per avviare la ripresa. L’analisi riporta su questi aspetti dati assolutamente impressionanti. Per fare un esempio, si pensi ai 171 mila posti di occupazione femminile persi in un solo trimestre di pandemia (più del doppio degli 89 mila creati negli undici anni precedenti). Una catastrofe che si aggiunge alle più basse remunerazioni, al maggior livello di precarietà, al massiccio e progressivo allontanamento dalle professioni più qualificate. Oppure si pensi che, a fronte un tasso di occupazione giovanile arrivato al 27,1% (la metà di quello europeo), nello stesso trimestre sono stati espulsi dal mercato del lavoro ben 331 mila giovani. Senza contare la persistenza di bassissimi livelli di spesa per l’istruzione o il minore impegno per la formazione di competenze.

Il terzo aspetto di riflessione che fornisce l’analisi della Svimez è nella sottolineatura che la ripresa del Paese, per essere adeguata, deve essere fondata su un progetto di “ricostruzione capace di coniugare crescita nazionale e coesione territoriale“. È necessario perciò, un coordinamento tra politica ordinaria, politica di coesione tradizionale e Next Generation EU. Una politica nazionale che nell’area meridionale risponda a due priorità: 1) un piano di investimenti in infrastrutture sociali per attivare il riequilibrio nell’accesso ai diritti di cittadinanza: salute, istruzione, mobilità e 2) l’impostazione di una politica industriale che abbia come obiettivi:

  • a) l’avvio di una strategia Euro-mediterranea fondata sull’infrastrutturazione del quadrilatero ZES meridionale allargato alla Sicilia;
  • b) la valorizzazione delle filiere (in particolare quella agroalimentare) e il sostegno alla transizione digitale e al green deal. Su questa base, secondo la Svimez, le potenzialità del Mezzogiorno sono importanti e il contributo che potrebbe venirne alla ripresa del Paese potrebbe essere di tutto rilievo.

IL RAPPORTO RSM-ASPEN

Il documento presentato da RSM-Aspen (Resilienza e sviluppo nel Mezzogiorno, settori, aree e linee prospettiche) è molto più leggero in confronto a quello della Svimez e si caratterizza per due aspetti: a) una lettura in prevalenza “ottimistica” delle condizioni del Mezzogiorno e, conseguentemente, b) l’adozione di un approccio basato sulle potenzialità esistenti per definire il percorso di ripresa. 

In primo luogo, quindi, si parte dall’affermazione che “il Mezzogiorno non esiste …, non è un deserto industriale …, è un territorio disomogeneo molto polarizzato, grandi eccellenze e forti ritardi di sviluppo”, con le vere debolezze rappresentate dalla inefficienza della PA e dalla bassa produttività. E si continua facendo rilevare che, se fosse uno stato autonomo europeo, il Mezzogiorno si porrebbe al 12° posto (tra Belgio e Austria) per valore del Pil e all’8° per numero di imprese manifatturiere. Si sottolinea, inoltre, le potenzialità per affermarsi come importante hub logistico mediterraneo, la forte presenza nell’economia marittima e nel traffico energetico, la performance nella produzione di nuova energia (95% per l’eolico, 40,5% per il solare), le potenzialità per la produzione di idrogeno. 

In secondo luogo, di conseguenza, il documento SRM-Aspen vede la possibilità di avviare un integrato percorso di crescita ben fondato sulle preesistenze produttive più dinamiche. E indica, pertanto, come priorità l’assegnazione al Mezzogiorno di una funzione centrale nell’ambito di una strategia euro-mediterranea: il Mezzogiorno ponte europeo sul Mediterraneo. In questa direzione va rafforzata, con investimenti infrastrutturali, l’esistente sistema di porti, mettendolo in grado di sviluppare un’intensa rete di economia marittima e, soprattutto, va valorizzato  il ruolo dell’area come punto di approdo dei nuovi corridoi di flussi energetici provenienti dal Nord Africa. A ciò si aggiunge la necessità di accrescere l’integrazione col resto del sistema produttivo nazionale attraverso le filiere lunghe esistenti, anche con il contributo di player nazionali, il sostegno alla produzione di nuove energie, alla Bioeconomia e Green economy, e con attenzione alla costruzione di un triangolo Turismo-Cultura-Ambiente. Il Rapporto SRM-Aspen, in sostanza, è costruito, con una narrativa efficace, in una visione molto mirata alla dimensione euro-mediterranea.

NEXT GENERATION EU

Per concludere. Il Next Generation EU e l’impressionante ammontare complessivo di risorse stanziate dall’Europa, hanno stimolato nel mondo della cultura, della politica e delle competenze un intenso dibattito. Come si vede dai due esempi commentati e da quelli solo ricordati, si sta anche discutendo, con spirito innovativo, su cosa significa oggi e cosa rappresenta il Mezzogiorno e quanto possa partecipare – inserito nel contesto nazionale e europeo – al processo di nuovo sviluppo che si sta avviando su scala globale. Si delineano ovviamente proposte improntate a linee diverse di intervento, con priorità a volte conciliabili altre volte contrastanti, espressione di interessi e visioni diverse dello sviluppo e dei suoi motori. Un contesto di partecipazione molto positivo. Ebbene, mentre questo avviene, si scopre che tutto è stato già deciso. Il governo, si dice, in totale solitudine e ancora senza ancora alcun confronto, ha prodotto ben 60 progetti, ha disegnato una ristretta e centralizzata architettura gestionale che fa capo al Premier, ha previsto un gruppo di 6 tecnici che vigilino sull’attuazione dei progetti attraverso 6 squadre di 15 tecnici ciascuna. Ne sapremo tutto nei prossimi giorni. E si discuterà molto.  

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