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Recovery Fund, cosa fare per utilizzare al meglio i soldi europei

Imagoeconomica

Augurandoci che la scienza e gli investimenti in ricerca delle società farmaceutiche possano in tempi brevi sconfiggere il virus responsabile delle tragica situazione sanitaria che sta interessando il mondo intero, è tempo di concentrare la massima attenzione dei Governi e delle classi dirigenti su cosa occorrerà fare per rilanciare le economie che hanno registrato in tutti i Paesi una caduta rilevante, anche se di intensità diversa da Stato a Stato.

L’Italia è tra i Paesi che hanno registrato una caduta del PIL molto forte e che prevede di perdere per l’intero 2020 circa il 9-10% del PIL. E questo senza ancora poter valutare compiutamente i danni della seconda ondata della pandemia che potrebbero essere assai più pesanti di quanto oggi immaginato, specie se si dovesse arrivare a condizioni di lockdown nel pieno delle feste natalizie. 

L’Europa ha compiuto con gli accordi di luglio un gigantesco passo in avanti verso una maggiore responsabilità comune del risanamento e della crescita dei singoli Paesi. Ma ora spetta ai governi nazionali impostare piani di rilancio e di riforme che siano coerenti con gli obiettivi indicati da Bruxelles ed efficaci rispetto alle necessità di innalzare il tasso potenziale di crescita, specie in quei Paesi che negli ultimi decenni non sono riusciti a tenere il passo con i paesi più avanzati. E tra questi l’Italia è, insieme alla Grecia, il fanalino di coda. 

Le cose da fare sono molte e i tempi stretti. Per dare una mano alle autorità politiche nell’individuare le corrette procedure da seguire, e nel contempo dare alla pubblica opinione un utile “quadro di controllo” per seguire le scelte governative, due studiosi, Marco Buti e Marcello Messori hanno pubblicato sul sito della LUISS School of European Political Economy, un ampio paper in cui si mettono a fuoco problemi e potenzialità dei fondi messi a disposizione dalla UE con Next Generation EU ed in particolare con la Recovery e Resilience Facility ( RRF) che di quel programma rappresenta circa il 90% del totale. 

In termini generali Buti (che oltre ad insegnare alla LUISS, è capo di gabinetto dell’eurocommissario Gentiloni a Bruxelles) e Messori sottolineano due questioni: l’Italia non è particolarmente in ritardo nel presentare i propri piani a Bruxelles, ma l’impressione è che stia operando in modo un po’ confuso e poco trasparente. In secondo luogo è ormai chiaro che il successo dell’intero programma europeo dipenderà dall’utilizzo che l’Italia farà di quei denari e dal successo che si registrerà nel raggiungimento dell’obiettivo di far salire il nostro tasso di crescita. Insomma il passo avanti verso la creazione di un vero ministero dell’economia europeo, che ancora  vede schierati tanti nemici, dipenderà molto da quello che il nostro Paese saprà fare nei prossimi 5-6 anni. 

Il paper della LUISS non nasconde le difficoltà. Il piano italiano deve darsi tre obiettivi che sono, almeno in parte, tra loro in contraddizione: sostenere la crescita, assicurare lo sviluppo sociale nell’equità, mantenere una gestione equilibrata del debito pubblico. Quest’ultimo è un aspetto assai trascurato negli ultimi mesi da gran parte del Governo e dalla pubblica opinione, anche quella qualificata. 

Bisogna che il piano riesca a selezionare una serie di progetti capaci di eliminare per prima cosa i colli di bottiglia che hanno impedito negli ultimi vent’anni al nostro Paese di crescere a ritmi adeguati. In contemporanea ed in maniera sinergica, deve partire un piano di riforme e di investimenti che operi su ben precise priorità. Tutto deve essere legato da una governance adeguata basata su una cabina di regia centrale dotata di adeguati poteri e che possa selezionare progetti, curare l’avvio delle attività e seguirne l’esecuzione. Per fare tutto questo occorrerebbe almeno avviare un processo di riforma della Pubblica Amministrazione concepito per step successivi e la riforma della Giustizia. Da notare – e questa è una notazione che finora nessuno ha fatto – che parte dei fondi europei possono essere “sostitutivi” dei fondi nazionali, il che offre l’occasione al nostro Governo di disporre di risorse liberate da precedenti impegni da impiegare adeguatamente per sostenere progetti di sviluppo. 

Ma il Governo non sembra possedere la lucidità e la determinazione per afferrare questa occasione di rilancio della nostra economia. È ovvio che gran parte dei ministri sono impegnati nel contenimento della pandemia, ma ciò non toglie che il modo scelto dal premier Conte per il piano di Recovery, di agire nell’ombra per non suscitare invidie e appetiti nel variegato mondo politico, ha l’inconveniente di non suscitare nella massa dei cittadini coesione e fiducia verso un progetto di rinnovamento del paese e di suo rilancio sullo scacchiere internazionale.   

Le misure di emergenza vengono comunque criticate, come inevitabile, mentre nessuno riesce a guardare al di là del proprio naso. Il rischio è quello di non utilizzare i soldi della UE, o di utilizzarli per progetti che avranno scarso impatto sulla competitività e quindi sulla crescita. Del resto delle necessarie riforme indicate più volte da Bruxelles non si parla più. Anzi il rischio è che in molti campi, dal mercato del lavoro, alle pensioni, alla presenza dello Stato nella gestione delle imprese, si stia andando in una direzione esattamente opposta a quella che le autorità europee e gli investitori avevano auspicato. Ancora una volta la cattiva politica rischia di dispendere le opportunità che si offrono al paese condannando i sui cittadini ad una triste stagnazione. 

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Categories: Politica