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Rebus Telecom Italia, ecco le tre alternative: e Bernabè lancia la sua sfida

Regna sovrana la confusione sopra i cieli di Telecom Italia. Ad otto giorni dalla chiusura della finestra per la disdetta del patto Telco, i giochi sono aperti. Anzi, ogni conclusione è possibile. Per ora, il pallino sembra ancora nelle mani di Cesar Alierta, il dominus di Telefonica, ovvero il primo singolo azionista di Telco. Alierta, si sa, ha presentato un’offerta (800 milioni) ai soci italiani (Generali, Mediobanca ed intesa) perché accettasero di restare in Telco, seppur con una quota ridotta: invito respinto al mittente. Alberto Nagel di Mediobanca ha pubblicamente sottolineato che l’avventura in Telecom di piazzetta Cuccia volge al termine. Stesso atteggiamento da parte di Generali, più possibilista Intesa.

IPOTESI A: TELEFONICA COMPRA IL BRASILE. Ora l’indomito Cesar prova a far decollare il piano B: integrazione a tappe tra Telefonica e Telecom, previa la cessione di Tim Brasil e del gestore in Argentina, ovvero il gioiello del gruppo presieduto da Franco Bernabé. L’operazione è tanto necessaria per il socio spagnolo quanto difficile. Telefonica, che in Brasile controlla Vivo, il maggior gestore mobile del paese sudamericano, non può assorbire Tim Brasil, per motivi di antitrust. Perciò, in caso di nozze Madrid-Milano, sarebbe necessario procedere allo spezzatino di Tim Brasil: una parte sarebbe inglobata in Vivo, un’altra finirebbe nelle mani di America Movìl, la società che fa capo a Carlos Slìm. La mossa sarebbe comunque necessaria per ridurre l’onere dell’operazione, senz’altro indigesta per le casse di Telefonica (52 miliardi di debiti), che andrebbe sicuramente incontro ad un downgrading una volta assorbita Telecom Italia (debiti attorno ai 30 miliardi).

Andrà così? L’impresa è difficile e costosa. Sulla base dei multipli fissati nelle ultime operazioni del settore Tim Brasil vale circa il doppio dell’attuale quotazione intorno a 9 reais (ieri 9,7). Il titolo capitalizza 10,9 miliardi di dollari, la quota Telecom Italia pari al 67% circa vale 7,3 miliardi di dollari (5,4 miliardi di euro). La richiesta della società italiana, dunque, non può essere inferiore a 10 miliardi di euro. Alierta (e Slìm) sono pronti a mettere sul piatto una cifra del genere destinata a salire fino a 15 miliardi vista la scontata Opa? E con quale garanzia di riuscita? Bernabé è contrario alla cessione della partecipazione più ricca e promettente del gruppo. Ed è facile che, almeno su questo punto, il presidente possa contare sulla maggioranza in assemblea. A meno che Alierta, Slim o chiunque altro non si presenti con un’offerta “indecente”.  

IPOTESI B: LA SCISSIONE DI TELCO. E TELEFONICA SI RIDUCE – Ma cosa potrebbe succedere se si arrivasse al giorno 28 senza alcun accordo? In tal caso sarebbe inevitabile la scissione pro-quota della Telco. L’azionariato di Telecom vedrà così il blocco italiano al 12 per cento: di questo pacchetto complessivo il primo socio è Generali con il 6,85%, seguita da Mediobanca con il 2,6% e Intesa Sanpaolo con il 2,6 per cento. Gli spagnoli di Telefonica avranno in trasparenza il 10,3%, rappresentando di fatto il primo singolo azionista di Telecom. A questo punto Telefonica si troverebbe nella condizione di dover immediatamente affrontare la questione Brasile perchè difficilmente le sarebbe consentito di affiancare a Vivo anche il controllo di fatto del più diretto concorrente, cioè Tim Brasil.

Di qui, nell’ipotesi di semplice scissione di Telco, gli spagnoli potrebbero inizialmente procedere con un alleggerimento della lora posizione in Telecom Italia, magari anche di due punti percentuali, quanto basta per evitare di “staccare” troppo il secondo azionista Generali. Un’opzione che per Telefonica, che ha in carico la quota Telecom a 1,2 euro per azione a fronte del valore di mercato di 0,57-058 euro, non sarebbe comunque indolore perchè comporterebbe inevitabilmente una minusvalenza. Ma servirebbe a limitare le perdite.

IPOTESI C: NON PASSI LO STRANIERO. E’ maturato anche un progetto tricolore: i soci italiani di Telco (Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali) avrebbero messo a punto un piano alternativo per risolvere in un sol colpo i problemi di governance e finanziari di Telecom Italia. La mossa strategica sarebbe quella di cedere gli asset di telefonia mobile (Tim e Tim Brasil) ricavando 25 miliardi di euro, abbattendo così il debito da 28 miliardi e concentrarsi sulla telefonia fissa.

L’azionariato di controllo vedrebbe il coinvolgimento di Findim, della Cdp e del fondo F2i (che conferirebbe Metroweb): tutti soci italiani con Telefonica di fatto esclusa. E’ un’ipotesi suggestiva, anche se il prezzo sarebbe la definitiva scomparsa di società a controllo italiano nel mobile, una delle eccellenze nostrane fino a vent’anni fa. Ma Telecom Italia, così alleggeRita, potrebbe scaricare una grande energia nella partita della banda larga. L’inconveniente, per la verità sta nei prezzi: davvero sarà possibile collocare per 25 miliardi Tim e Tim Brasil?

TANTI PIANI, POCA VOGLIA DI INVESTIRE

I piani, con molte varianti, si moltiplicano. Ma il tempo e gli spazi di manovra si restringono. Al di là del clima conviviale che avrebbe distinto “il pranzo tra amici” (copyright di Tarak Ben Ammar), sul futuro di Telecom Italia incombono scelte comunque drastiche e dolorose (per il portafoglio) che, di questi tempi, non sono certo gradite. E la conferma arriva da Piazza Affari, dove oggi il titolo galleggia sotto quota 0,60 euro. Non c’è da stupirsi: se i grandi azionisti esitano ad investire, il mercato non può certo abbandonarsi all’euforia.

Eppure, la sfida lanciata da Franco Bernabé ai soci riuniti è forse la più seria e convinta della recente storia di Telecom, caratterizzata più dal torpore e dagli scontri /incontri con i regolatori che non da volontà di crescita. L’ex incumbent delle tlc italiane non può concedersi il lusso di giocare ancora in difesa, come è stata costretta a fare negli ultimi anni sotto la mannaia dei debiti accumulati nelle varie disavventure seguite alla privatizzazione.

La soluzione? Per dare un futuro all’azienda e garantire il suo valore strategico sul mercato occorre un deciso upgrading della rete fissa, con un investimento che potrebbe mobilitare fra i 3 ed i 4 miliardi. Con questi mezzi, Telecom Italia potrà alzare l’asticella delle sue ambizioni sul mercato interno. Secondo il nuovo piano, infatti, Telecom Italia punterà a portare direttamente la fibra ottica in casa e non solo più negli armadi su strada o nelle cantine condominiali. In questo modo, l’ex incumbent potrebbe garantirsi una leadership assoluta (e meglio remunerata) in più nello scenario che si profila nell’immediato futuro, con l’integrazione tra le potenzialità degli smarphone e delle smart tv. Insomma, invece di inseguire, da una parte, gli altri gestori in una battaglia allo sconto ed all’altra ad assistere impotente alla mietitura degli utili dei vari produttori di hardware e software (Google, Microsoft, Apple), Telecom Italia potrebbe tornare a ragionare in termini di crescita effettiva. Uno scenario che giustifica, tra l’altro, una struttura aziendale più aggressiva, basata sulla crescita di tante spa in luogo delle attuali divisionisotto il cappello di una holding ribattezzata Tim, il marchio più noto, sulla falsariga di quanto è avvenuto in Francia dove France Telecom ha promosso Orange.

Ma per fare questo occorrono quattrini veri, da investire in tecnologia ed innovazione. Materia prima più rara e nobile della cascata di miliardi di carta del passato, quando le scalate a Telecom hanno avuto come passaggio successivo la spremuta delle ricchezze accumulate dal gruppo.   

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