“Dei quasi 1,2 milioni di nuclei familiari beneficiari di Reddito di Cittadinanza, circa 400.000 (il 33,6%) sono esclusi dall’Assegno di Inclusione perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati”. Delle 790mila famiglie che rimangono, circa 97mila (oltre il 12%) sono escluse dal nuovo sussidio a causa dei vincoli economici imposti dalle nuove regole. Complessivamente, dunque, “i nuclei familiari beneficiari dell’assegno di inclusione risulterebbero circa a 740.000, di cui 690.000 già beneficiari di RdC e 50.000 nuovi beneficiari per via della modifica del vincolo di residenza”.
Sono queste le stime contenute nel “Rapporto sulla politica di Bilancio” presentato questa mattina dall’Upb, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio.
Dal Reddito di Cittadinanza all’Assegno di Inclusione
“Nel complesso – spiega l’Autorità – considerando anche le maggiori risorse derivanti dalla piena compatibilità tra AdI e Assegno unico, ai nuclei precedentemente titolari del RdC che riceveranno l’AdI andranno complessivamente risorse pari a 6,1 miliardi, con un aumento dei benefici di circa 190 milioni, mentre i nuclei precedentemente titolari di RdC esclusi dall’AdI perderebbero 2,7 miliardi”.
Gli esperti dell’Upb hanno poi stimato la distribuzione dei nuclei, distinguendoli per presenza di soggetti tutelati, in funzione della variazione del beneficio complessivo. Nel complesso, i nuclei precedentemente beneficiari del Reddito di Cittadinanza che non accedono all’Assegno di Inclusione sono circa il 42%, con una perdita media mensile di circa 460 euro.
La riforma, al contrario, avvantaggia le famiglie con disabili, che andranno incontro a un aumento medio del beneficio di 64 euro al mese. I nuclei con minori (non disabili) che sono quelli maggiormente interessati dalla modifica del calcolo dell’importo base dell’AdI, per poco più della metà incrementano il beneficio complessivo (+124 euro medi mensili) e i restanti ricevono assegni inferiori (il 33,7%, perdendo circa 140 euro) o non ne ricevono affatto (il 13,7%, perdendo circa 194 euro mensili). Mediamente il beneficio è sostanzialmente stabile (-9 euro medi mensili).
Infine, i nuclei con anziani over 60 (senza disabili e minori) sono quelli per cui la riforma influisce di meno sul beneficio: per il 71% cambierà poco o nulla, per il 10,4% l’importo si ridurrà di 173 euro al mese, mentre il 14,8% non lo percepirà affatto, perdendo 101 euro. Considerando il complesso dei nuclei con anziani, mediamente, i benefici si riducono di circa 29 euro medi mensili.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, così come il Reddito di Cittadinanza anche l’Assegno di Inclusione sarà prevalentemente appannaggio delle famiglie del Mezzogiorno: 65,8%.
Upb, inflazione al top dal 1985: “Concentrare gli interventi sulle famiglie più bisognose”
Nel 2022 l’inflazione ha raggiunto l’8,1%, il livello più alto dal 1985,. Un’impennata che ha avuto un forte impatto sulla spesa delle famiglie. Secondo le stime dell’Upb, infatti, “per il 2022 l’impatto sulla spesa per le famiglie connesso all’aumento dei prezzi sarebbe risultato pari a circa il 9,6% (di cui circa 7 punti percentuali per aumenti dei prezzi dei beni energetici e 2,7 per l’inflazione sugli altri beni), ma le politiche di mitigazione hanno contribuito ad alleviarlo per circa 4,5 punti facendolo calare a 5,1 punti percentuali”.
L’Ufficio Parlamentare rileva infatti come lo scorso anno, grazie alle diverse misure messe in campo, l’impatto dell’inflazione sulle famiglie è stato “tendenzialmente progressivo” a vantaggio delle famiglie meno benestanti, mentre nel 2023 l’aumento dei prezzi dei beni non energetici e la ricomposizione del mix di politiche compensative hanno prodotto “effetti complessivi debolmente regressivi”, con un impatto maggiore dunque dell’inflazione sulle famiglie meno ricche. In virtù di questa analisi l’invito dell’Upb è quello di concentrare nuovi interventi di contenimento dell’inflazione “sulle famiglie maggiormente bisognose, al fine di accentuarne il carattere redistributivo”.
Upb: 2023 positivo, ma bisogna cogliere le opportunità del Pnrr
Nel 2022 il Pil italiano è cresciuto del 3,7%. “L’economia italiana ha dato prova di resilienza e capacità di reazione allo shock energetico”, sottolinea la presidente dell’Upb, Lilia Cavallari, aggiungendo che “le prospettive di crescita rimangono favorevoli nel breve termine, sospinte da una rinnovata capacità di attrarre domanda estera e da una dinamica sostenuta delle componenti interne di domanda, in particolare gli investimenti”.
Nei primi tre mesi del 2023 infatti, la crescita del Pil (+0,6%) è risultata migliore delle attese sia del Ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) sia del panel Upb. Al momento si qualificano quindi rischi al rialzo sulle stime di quest’anno. Nel medio periodo (specialmente per il 2024) i fattori di rischio per il nostro Paese si confermano invece orientati al ribasso, così come le attese sul contesto economico globale.
Per questo motivo il Pnrr diventa ancora più fondamentale. La realizzazione del Piano e i suoi tempi “rappresentano un elemento fondamentale di cui tener conto nella valutazione delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica. Attualmente, secondo una stima aggiornata dell’Upb, il Pnrr avrà un impatto sul Pil di quasi tre punti percentuali al 2026. In questo momento è in corso una riformulazione del Piano volta a favorire la realizzabilità dei progetti. Le conseguenze sui saldi di bilancio e sull’economia dovranno essere pertanto attentamente valutate”.
Andranno colte a pieno – evidenzia la presidente Cavallari – tutte le opportunità aperte dalla revisione del Pnrr per assicurare nuovo slancio all’azione di riforma e al potenziamento infrastrutturale, entrambi essenziali per superare i divari generazionali, di genere e territoriali e consentire all’economia di affrontare le sfide tecnologiche e ambientali che attendono il Paese”.
Attenzione alle coperture su Fisco e Pa
Lo scenario programmatico di finanza pubblica del Def 2023 “conferma il sentiero di riduzione di deficit e debito pubblico in rapporto al Pil. Viene confermato l’obiettivo di un deficit al 3% del Pil nel 2025 (3,7% nel 2024), e si programma un’ulteriore riduzione al 2,5% nel 2026. Anche la strategia di riduzione graduale del rapporto tra il debito pubblico e il Pil è stata ribadita: dopo il calo registrato nel 2022, il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto è atteso diminuire ancora negli anni successivi, passando dal 142,1% nel 2023 al 140,4% nel 2026″.
In virtù di questi numeri, secondo l’Upb, “la stabilità dei saldi programmatici di bilancio presentata nel Def 2023 appare appropriata”. Tuttavia, sottolinea l’Autorità “vanno risolte le incertezze riguardanti l’individuazione di adeguate coperture finanziarie degli interventi che si prospettano”, quali il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, le misure sulle pensioni, la riduzione della pressione fiscale e i nuovi provvedimenti che il governo deciderà di adottare nella manovra.
“Nell’insieme – si legge – sembrerebbero necessarie cospicue risorse che appare difficile poter reperire senza incidere” sui servizi e sulle politiche sociali.