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Rapporto Svimez 2022: per il Mezzogiorno il tempo è scaduto. Senza un colpo d’ala, recessione disastrosa

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Come ogni anno, il Rapporto Svimez, l’Economia e la Società del Mezzogiorno, è un volume ponderoso (550 pagine), denso di dati dedicati alla trattazione di numerose tematiche che offrono un quadro articolato delle condizioni attuali e delle prospettive della società e dell’economia del Mezzogiorno. La presentazione del Rapporto di quest’anno ha visto, tra i numerosi altri interventi, oltre che la relazione del direttore Luca Bianchi, le conclusioni del presidente Adriano Giannola, e del ministro Raffaele Fitto. La relazione, gli interventi, i saluti, le conclusioni si sono in vario modo intrecciati e hanno complessivamente fornito un quadro denso di interrogativi e di considerazioni preoccupate e preoccupanti sulle possibili prospettive future. Non è possibile dar conto di tutto il contenuto del Rapporto, ma tra le numerose componenti dell’analisi (e tra le sollecitazioni emerse nel dibattito) hanno prevalso quelle che mettono in evidenza i fattori che oggettivamente rischiano di condizionare l’avvio e il mantenimento di qualunque processo di ripresa si riuscirà ad impostare, ed è soprattutto su queste che qui ci si vuole soffermare.

Rapporto Svimez 2022: crescita in calo, aumenta il divario con il Nord

Nella prima parte dell’analisi viene messa in evidenza l’interruzione di quella che, a cominciare dal 2021, era sembrata per il Sud una stagione di ripresa della crescita. Nel biennio 2021-22, infatti, il tasso di crescita del Mezzogiorno, è arrivato prima al 5.9 e poi subito è calato al 2.9, per continuare, secondo le previsioni, a scendere nel biennio successivo al -0.4 nel 2023 e poi al +0.9 nel 2024. Nel Centro-Nord, invece, i tassi per il primo biennio sono pari al 6.8 e 4.0 e le previsioni per il successivo arrivano allo 0.8 e 1.7. Tutto ciò sta a significare che si sta avviando una ripresa del divario del Sud dal resto del Paese, con il risultato che il Pil di quest’area rimarrà nel 2024 addirittura a -9.4 punti sotto il livello raggiunto ben 17 anni fa (nel 2007), mentre il Centro-Nord rispetto a quella stessa data sarà al +1.6%. Siamo quindi di fronte al verificarsi di una molto probabile tendenza all’aumento del distacco tra le due aree: la conferma di un paese a due velocità.

Anche il bilancio demografico è più pesante per il Mezzogiorno

Un altro elemento di contesto preoccupante è costituito dal quadro demografico che è negativo per l’intero paese ma decisamente più pesante per il Mezzogiorno, per effetto sia della riduzione delle nascite che delle perdite migratorie. Complessivamente si stima che al 2070 la popolazione residente diminuirà nel Mezzogiorno del 32% e nel Centro-Nord del 13% (da 19.8 milioni a 13.4 nel Mezzogiorno e da 39 a 34 milioni nel Centro-Nord); in entrambi i casi con una larghissima prevalenza della popolazione anziana su quella giovane. Se questa tendenza non verrà frenata e invertita essa si coniugherà certamente con i fenomeni di povertà e disagio sociale che stanno evidenziando punte di estrema gravità nel Sud. Su questo versante, infatti, in quest’area al 2021 il 41.2% delle persone (il doppio o il triplo rispetto al resto del Paese) vive “a bassa intensità di lavoro, a rischio di povertà o a severa deprivazione materiale”. 

Donne e giovani gli anelli più fragili

Il Rapporto Svimez 2022 mette bene in evidenza come già oggi siano le donne e i giovani a risentire maggiormente di questa situazione.  Infatti, per quanto riguarda il tasso di occupazione, quello femminile è pari al 34% (il più basso in EU 27: 64.7%) e quello dei giovani al 29.8% (anch’esso il più basso in EU 27: 56.5%). Sia i giovani che le donne meridionali, inoltre, vivono le condizioni di maggiore precarietà sul lavoro, con molto part-time non volontario. Non è un caso, perciò, che i giovani meridionali stiano fuggendo dalle loro terre: nel solo 2020 il saldo netto tra partenze e arrivi di giovani è stato di 45.000 unità, di essi 20.000 erano laureati: un drastico depauperamento di risorse umane necessarie alla ripresa.

 A tutto ciò si aggiunge la ben nota fragilità del mondo delle imprese meridionali. Il sistema industriale del Mezzogiorno è caratterizzato da una concentrazione di industrie di base strutturalmente molto energivore, e le stesse piccole imprese molto diffuse nel panorama meridionale consumano relativamente più energia. Ciò significa che, nel probabile quadro di permanenza della crisi energetica globale e dell’inflazione da ciò derivata, l’incidenza dei relativi costi avrà un peso molto rilevante sulla ripresa industriale e sulla crescita dell’area meridionale. 

Rapporto Svimez 2022: 252 miliardi da spendere in tempi strettissimi

Un ulteriore elemento su cui il Rapporto Svimez 2022 richiama l’attenzione (e sul quale hanno molto insistito il Ministro Fitto e il Presidente Giannola) riguarda la capacità di uso delle risorse oggi disponibili e da utilizzare nel giro di pochi anni. Queste sono straordinariamente rilevanti ma da spendere in tempi strettissimi. Ammontano complessivamente a 252,2 miliardi di cui: 86,4 da spendere entro il 2026 riguardano il PNRR; 107,9 le nuove risorse POR, PON e FSC da spendere entro il 2029; e 57,9 le risorse 2014-2020 di POR, PON e FSC ancora non spese (!). A questo riguardo vale ricordare che il ministro Fitto ha commentato con una certa preoccupazione che nei prossimi cinque anni si dovrà spendere una cifra pari al triplo di quanto si disponeva nel 2014-2020, tenendo conto che di quest’ultima in otto anni si è riusciti a spendere solo poco più del 50%. 

Cosa fare per vincere la sfida

Di fronte a tale sfida si dovrà aprire una narrazione diversa dal passato recente. Per mettere in campo le esistenti potenzialità di sviluppo del Mezzogiorno si dovranno affrontare problemi di scelte, di strategia, di visione, di governance, di controllo dell’andamento del costo delle materie energetiche e dell’inflazione, di impostazione di un percorso di continuità in grado di mantenere la nuova situazione creata. Si dovranno superare le difficoltà degli enti locali (Regioni e Comuni) nelle fasi della progettazione, dell’appalto, dell’assegnazione dei lavori, del controllo del lavoro dei cantieri fino al raggiungimento della disponibilità degli investimenti progettati. Si dovrà stabilire un coordinamento delle politiche di sviluppo che interessano aree territoriali diverse ma che non possono non essere tra loro interconnesse se ci si vuole inserire nelle nuove catene globali del valore, favorendo nuove forme di lavoro attraverso un’innovazione sistemica fondata sulle energie sicure e su quelle rinnovabili, sulla digitalizzazione, sull’economia circolare, sulla transizione ecologica. Il tutto in una dimensione euro-mediterranea. Si dovrà inoltre costruire un sistema scolastico, universitario e della ricerca integrato, per dare peso alla formazione culturale e scientifica delle nuove generazioni meridionali e per stabilire un rapporto tra mondo della formazione e mondo della produzione moderna di visione globale.

In tutto questo non è dato sapere cosa potrà accadere con l’Autonomia differenziata

Come si diceva all’inizio, il Rapporto Svimez di quest’anno presenta un quadro problematico e incerto.  Da un lato il Mezzogiorno dà molti segnali di essere alla vigilia di una recessione probabilmente disastrosa sul piano economico e sociale. Dall’altro, pur con varie e pesanti difficoltà, si appresta a misurarsi con una sfida da far tremare i polsi, consistente col mettere a terra, almeno in buona parte, le positive aspettative segnate dalla stagione del PNRR. Aspettative basate su potenzialità non diffuse, ma sicuramente in grado di essere valorizzate per avviare un nuovo sviluppo del Sud.

Le cose da fare sono molte e i tempi sono stretti

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