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Rapporto Intesa Sanpaolo: i distretti industriali crescono più della media Ue, ma solo i migliori

“L’Italia è un Paese in cui chi perde perde tanto, ma chi va bene va benissimo”. Con queste parole il ceo del gruppo Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, ha presentato la quinta edizione del Rapporto annuale “Economica e finanza dei distretti industriali”, realizzato dal Servizio studi e ricerche della banca analizzando capillarmente un campione di 49mila imprese su tutto il territorio.

Dalla ricerca emerge infatti l’immagine di un Paese spaccato in due: le 9 regioni italiane più competitive (tutto il Nord e parte del Centro) hanno un Pil pro capite non solo ben superiore a quello della media nazionale (118 se l’Italia è 100), ma anche a quello della media europea, che vede ad esempio in raffronto la Francia a 104, il Regno Unito a 107 e la Germania a 111. Ma soprattutto, emerge che i 10 distretti industriali migliori (le macchine da imballaggio di Bologna, i marmi di Carrara, i salumi di Parma, l’abbigliamento del napoletano, il tessile di Biella, le calzature di Santa Croce sull’Arno, i vini prosecco della Valdobbiadene, i vini di Langhe e Monferrato, la pelletteria e le calzature del fiorentino, l’occhialeria di Belluno e la gomma del bergamasco) hanno visto crescere nel 2011 il loro fatturato del 9,1% (in generale dell’8,1% i dieci settori migliori) grazie in particolare all’export che è aumentato del 14,6%.

Entrambi i dati sono ben superiori a quanto fatto dall’economia italiana nel suo complesso (+0,6% il Pil nel 2011) ma anche dalla media Ue e dalla Germania. In particolare l’export, per il quale l’Italia è in generale appena dietro la Germania con una crescita del 6,7%, rispetto al +7,9% dei tedeschi e ben migliore di Uk (+4,5%) e Francia (5,5%).

Le esportazioni sono infatti, secondo l’analisi di Banca Intesa, uno dei punti di forza delle imprese italiane (in particolare dei distretti) ma non l’unico: se è vero che ormai quasi un’azienda su tre esporta, è anche vero che una società su quattro è partecipata da gruppi stranieri (il che comporta crescita del mercato e del fatturato), che quasi la metà (45,1%) delle aziende dei distretti industriali produce brevetti, quindi punta sull’innovazione, e che in assoluto una su cinque (il 39,4% di quelle delle aree distrettuali) ha un proprio marchio registrato a livello internazionale.

Queste performance hanno portato, in un contesto molto difficile per l’economia italiana, il fatturato dei distretti a registrare un aumento del 3% nel biennio 2011-2012, ancora meglio dell’1% delle aree non distrettuali. E nonostante la crisi, anche l’outlook per l’anno in corso è tutt’altro che negativo (+1,1%), ma la ripresa vera e propria è attesa per il 2014, quando il giro d’affari delle imprese distrettuali dovrebbe mostrare un aumento del 4%.

Nel frattempo ci sarà però ancora da soffrire perché la recessione, nonostante questi segnali positivi (ma parziali, visto che a fronte del boom dei migliori, il 30-40% peggiore delle imprese esaminate ha registrato un calo del fatturato tra il 35 e il 44%, con migliaia di fallimenti soprattutto fra le microimprese), persiste sul sistema Italia. Come ha ricordato lo stesso Cucchiani, che ha anche espresso la sua ricetta per il rilancio, per punti chiave: “Innanzitutto mettiamoci in testa che lo spread conta: pesa sui conti dello Stato, e dunque influenza non poco il prelievo fiscale, determina il costo dei finanziamenti ai privati e soprattutto condiziona la crescita”. In effetti, tre dei maggiori problemi e soprattutto freni alla competitività e alla capacità del Paese di attrarre investimenti.

Dunque, rigore prima della crescita, come sostenuto da molti economisti e dall’ultimo governo. Poi il tema delle riforme, immancabile: “La più importante – ha detto il ceo di Intesa Sanpaolo – è quella del lavoro: serve la flessibilità in ingresso perché la disoccupazione giovanile sta diventando un dramma. Molto importante anche una vera riforma del sistema giudiziario che garantisca celerità e certezza del diritto”.

Cucchiani pone poi l’attenzione sullo snellimento dell’apparato statale e più in generale del sistema produttivo, attraverso: “privatizzazioni, soprattutto a livello locale, riduzione del peso dello Stato (la nostra struttura demografica non ci consente il mantenimento del livello attuale), riduzione della burocrazia, normalizzazione dei tempi di pagamento dello Stato e riforme a costo zero”. Una parte del Paese ha ripreso a correre, ma l’Italia è ancora ben lontana dal correre tutta insieme.


Allegati: Economia e finanza dei distretti industriali.pdf

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