Il Censis, quando fotografa lo stato di salute sociale del Paese, da sempre gioca con frasi e immagini di grande suggestione. Negli anni passati si era parlato di rancori, di incertezza, di confusione e, per ultimo, di “società ansiosa”. Per il 2020 il 54° Rapporto sulla situazione sociale del Censis, presentato questa mattina, descrive il sistema Italia come una “ruota quadrata che non gira” e l’anno che si appresta a concludersi come quello della “paura nera”.
Il quadro che viene dipinto di questi ultimi mesi è a tinte fosche e lascia pochi margini di interpretazione: “Il virus ha aggredito una società già stanca. Provata da anni di resistenza alla divaricazione dei redditi e alla decrescita degli investimenti, incerta sulle prospettive future, con un modello di sviluppo troppo fragile… Quest’anno siamo stati incapaci di visione”. Si tratta di due notazioni rilevanti: la “stanchezza sociale” viene da lontano ed è il frutto di tanti anni di scelte sbagliate, di progetti non conclusi, di visioni di corto raggio che hanno ingenerato nella pubblica opinione un malcelato senso di insoddisfazione che la politica non ha saputo interpretare. La capacità di visione invece si infrange contro gli scogli delle opportunità e convenienze che volta per volta prevalgono sugli interessi generali del Paese.
Cosa è successo nel corso di quest’anno di significativo nella lettura del Censis? “La distribuzione indifferenziata di bonus e sussidi di ogni ordine e genere ha calmierato le difficoltà di imprese e famiglie. Il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione in deroga hanno posto un argine al rischio di trasferire sui soggetti più deboli gli effetti della riduzione della produzione. Ma il debito pubblico è stato accresciuto in misura rilevante, ponendo un ulteriore fardello sulle prossime generazioni. Il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati… E oggi l’attesa si è trasformata in disorientamento, la semplificazione delle soluzioni nell’emergenza è diventata una sottovalutazione dei problemi, il contagio della paura rischia di mutare in rabbia”.
Quest’ultimo passaggio sottolinea una preoccupazione comune: fino a quando reggerà il sottile equilibrio sociale/sanitario/economico imposto dalla pandemia Covid? Non vi è dubbio infatti che il Coronavirus, non solo in Italia, ha messo a nudo tutte le difficoltà e i fragili equilibri faticosamente raggiunti negli anni passati. Il Censis registra la riduzione dei consumi delle famiglie di circa il 19% sulla media mensile e un valore netto di circa 20 miliardi trascinando nel segno negativo quasi tutti i comparti economici, dal turismo all’agricoltura. Il solo settore che ha visto segnali positivi è quello relativo alla “spesa digitale”: a causa della chiusura forzata nelle abitazioni, sia per le nove modalità di smart working, sia nella scuola a distanza, come pure nel semplice intrattenimento e consumo di audiovisivi. Negli ultimi mesi il nostro Paese ha visto muovere la sua posizione dal 25° posto nella graduatoria europea DESI (Digital Economy and Society Index) e potrebbe consentire la risalita di un paio di posizioni.
Un capitolo interessante che riguarda la “narrazione” di quanto avvenuto e la percezione che ne ricavano i cittadini si riferisce alla “dieta mediatica” degli italiani durante la pandemia. Il mercato dei media ha visto stabilizzarsi alcuni fenomeni già noti prima del Covid (cala leggermene il consumo di televisione lineare a vantaggio di quella streaming); la radio mantiene un ruolo stabile con una platea consolidata al 79% degli italiani con un significativo incremento dell’ascolto digitale (tramite il pc o un cellulare) che cresce del 17%. Ognuno compone il proprio fabbisogno mediatico attraverso diversi ingredienti dove lo spazio occupato da Internet si consolida in crescita costante: “Dal 78,4% al 79,3% della popolazione, con una differenza positiva di quasi un punto percentuale in un anno. Gli italiani che utilizzano gli smartphone salgono dal 73,8% al 75,7% (con una crescita dell’1,9%, quando ancora nel 2009 li usava solo il 15% della popolazione)”. Mentre la carta stampata prosegue nello stato di crisi mantenendo costante la disaffezione dei lettori che “emigrano” verso altre fonti di accesso alle informazioni, in particolare on line.
Infine, l’ultimo capitolo del 54° Rapporto Censis si sofferma sui temi della sicurezza e della cittadinanza e pone un interrogativo cruciale: chi paga maggiormente il conto salato del lockdown? In un quadro occupazionale già fragile e delicato in epoca pre-Covid, si legge che “A giugno 2020 il mercato del lavoro mostra un tasso di attività pari al 63,4%, diminuito dell’1,8% rispetto al 2019, mentre per gli stranieri è pari al 64,8%, ridottosi del 6,2%”. Tradotto in altri termini, significa che circa 23 milioni di italiani hanno dovuto fronteggiare ulteriori difficoltà determinate da un volume complessivo di redditi familiari sostanzialmente ridotti. Il 90,2% degli italiani, si legge nel Rapporto, è convinto che l’emergenza coronavirus e il lockdown hanno danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili, ampliando le disuguaglianze sociali già esistenti”
Per quanto riguarda invece la sicurezza sociale si legge un dato confortante: nell’era digitale la criminalità riduce la sua pressione “Dal 1° agosto 2019 al 31 luglio 2020 i reati denunciati alle Forze dell’ordine sono stati 1.912.344, con un calo del 18,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente… La riduzione dei furti è stata del 26,6%, -21,1% le rapine, -16,8% gli omicidi. Si tratta di una tendenza che conferma quello degli anni passati, ma con un’accelerazione inedita, effetto del lockdown”. Nella stessa era digitale però si registra e si consolida un altro fenomeno rilevante: le truffe informatiche on line che aumentano del 12% rispetto all’anno precedente.
Il Rapporto Censis si chiude con parole di speranza e fiducia: “Nel timore e con cautela, il nostro Paese aspetta e sa in filigrana di avere risorse, competenze, intuizione ed esperienza per ripensare e ricostruire a freddo i sistemi portanti dello sviluppo, che dal suo geniale fervore traspira rapido il nuovo”.