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Raiffeisen, gli appelli delle autorità non bastano: la banca austriaca accresce il suo business in Russia

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Mentre le autorità europee e americane stanno chiedendo ripetutamente alle banche europee di uscire dal business in Russia, Unicredit e Intesa SanPaolo comprese, la banca austriaca Raiffeisen non molla e, anzi, ha incrementato i suoi affari dall’inizio dell’invasione di Putin in Ucraina oltre 2 anni fa. Lo evidenzia in un report la rivista L’Economist.

Russia considera Raiffeisen “di importanza sistemica” per la sua economia

Nonostante, pochi giorni dopo lo scoppio del conflitto, Raiffeisen abbia dichiarato di voler vendere le sue attività in Russia, ventisette mesi dopo, l’unità della banca nel Paese sta andando piuttosto bene, dice la rivista inglese. Il suo personale è cresciuto fino a quasi 10.000 persone, con un aumento del 7% dal 2022. L’anno scorso i suoi profitti hanno raggiunto 1,8 miliardi di euro (2 miliardi di dollari), più di qualsiasi altra filiale della banca e triplicati rispetto al 2021. Raiffeisen è uno dei dodici istituti di credito che la Russia considera “di importanza sistemica” per la sua economia. La banca è importante anche per le finanze del Cremlino, poiché l’anno scorso ha pagato l’equivalente di mezzo miliardo di dollari in tasse.

Le tasse versate alla Russia dalle banche occidentali: 800 milioni. Comprese Unicredit e Intesa SanPaolo

Raiffeisen è la più grande banca occidentale in Russia, ma non l’unica. Secondo un recente rapporto del Financial Times, le principali banche occidentali operanti in Russia hanno versato al governo russo oltre 800 milioni di euro in tasse nell’ultimo anno, una somma quattro volte maggiore rispetto ai livelli precedenti al conflitto. Queste imposte rappresentano lo 0,4% delle entrate russe non legate all’energia nel 2024. Le imprese straniere presenti nel Paese contribuiscono così a mantenere la stabilità finanziaria della Russia, nonostante le sanzioni.

Tra le banche coinvolte figurano appunto Raiffeisen Bank International, Unicredit, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, Otp e Intesa Sanpaolo, che hanno complessivamente registrato guadagni per oltre tre miliardi di euro nel 2023, triplicando i profitti rispetto al 2021, parzialmente a causa dei capitali intrappolati nel paese, dice il FT. Questi profitti sono in parte generati dai fondi che le banche non possono prelevare dal Paese.


Raiffeisen mantiene un’esposizione significativa, con il 15% delle sue attività nel Paese, rispetto per esempio al 5% di UniCredit, dice L’Economist. Nel corso del 2022 e dei primi mesi del 2023 l’esposizione cross-border alla Russia di Unicredit era stata ridotta, a costi minimi, complessivamente del 66% circa, ovvero di circa 4,1 miliardi. Una strategia seguita anche nei trimestri successivi. Ancora il mese scorso l’America ha minacciato di limitare l’accesso di Raiffeisen al suo sistema finanziario a causa delle operazioni russe della banca.

Come si spiega il continuo profitto?

Una risposta, dice L’Economist, sta nel divario tra i magri tassi di interesse che le banche pagano ai depositanti e quelli della banca centrale russa. Quest’ultimo si attesta al 16%, quasi quattro volte più alto di tre anni fa. Un’altra risposta è di tipo tecnico. Nel 2022, prevedendo un’ondata di insolvenze russe, le banche hanno effettuato ingenti accantonamenti per perdite su crediti. Dopo l’invasione, i depositi dell’istituto di credito austriaco sono saliti alle stelle, anche se ha mantenuto i tassi estremamente bassi. L’istituto di credito ha inoltre svolto un ruolo cruciale nell’aiutare le imprese straniere a muovere denaro da e verso la Russia, rappresentando quasi la metà di tutti i pagamenti con il resto del mondo nel febbraio dello scorso anno.

I profitti però sono difficili da rimpatriare

Tuttavia, questo tipo di attività è redditizia solo sulla carta, poiché i profitti sono difficili da rimpatriare. La Russia ha controlli severi sui capitali che impediscono alle banche di spostare i contanti. Allo stesso tempo, gli ingenti profitti sulla carta stanno attirando l’attenzione delle autorità di regolamentazione americane ed europee. Il mese scorso diversi istituti di credito hanno ricevuto una lettera dalla Banca Centrale Europea che li invitava a ridurre la loro esposizione verso la Russia. La vigilanza “sollecita le banche ad accelerare l’uscita dalla Russia, visto l’aumento del rischio reputazionale, legale e finanziario”, aveva spiegato l’ex responsabile Andrea Enria in una delle sue ultime uscite lo scorso anno.

Il problema delle banche europee in Russia è che hanno poche vie d’uscita. L’ideale sarebbe vendere le unità locali ad altre società straniere, ma poche sono interessate a rilevare attività così complicate dal punto di vista geopolitico. La vendita ai locali richiede l’approvazione di Putin e, dato il contesto, è improbabile che qualsiasi accordo venga concluso a un prezzo equo. La maggior parte dei tentativi recenti di completare le vendite si sono trascinati o sono falliti. Ciò lascia alle banche europee un’ultima opzione: continuare a ridurre i loro portafogli russi. Ma anche questo è tutt’altro che semplice, e non solo a causa dell’aumento del controllo da parte delle autorità di regolamentazione occidentali.

A maggio un tribunale russo ha ordinato il sequestro dei beni di Commerzbank e Deutsche Bank, due istituti di credito tedeschi, a causa del loro coinvolgimento in un progetto sul gas che è stato cancellato dopo l’invasione. In una causa parallela, il tribunale ha anche sequestrato beni appartenenti a UniCredit, Tutto ciò significa che è molto probabile che molte unità occidentali in Russia finiscano per essere almeno parzialmente svalutate. Le banche europee rischiano di pagare un prezzo elevato in termini di reputazione, e difficilmente il guadagno sarà conveniente.

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