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Rai, quale sarà la sua missione, che cosa potrà e dovrà fare e riuscirà a rinnovarsi? La scadenza della Concessione si avvicina

Il dibattito sulla riforma del sistema audiovisivo italiano è fermo a causa di divergenze politiche, con la scadenza della Concessione Rai nel 2027. Quale futuro per il Servizio Pubblico tra governance, finanziamenti e necessità di adeguamento alle nuove tecnologie?

Rai, quale sarà la sua missione, che cosa potrà e dovrà fare e riuscirà a rinnovarsi? La scadenza della Concessione si avvicina

Abbiamo scritto nell’articolo precedente su FIRSTonline che ad aprile 2027 scadrà la Concessione attraverso la quale lo Stato affida alla Rai l’esclusiva per l’esercizio del Servizio radiotelevisivo nazionale. Esattamente in quella prospettiva e per quella data sarà necessario anzitutto chiarire quale potrà e dovrà essere il ruolo, la missione, il progetto non solo dell’Azienda Rai ovvero cosa dovrà fare, con quali risorse e con che tipo di governance. Contestualmente potrebbe essere necessario avviare un profondo e sostanziale processo di ammodernamento di tutto il perimetro legislativo con il quale si governa il sistema audiovisivo del Paese, sostanzialmente e per buona parte fermo alla Legge Gasparri n.112 del 2004.

L’evoluzione del mercato audiovisivo

Da allora, il mercato, il pubblico e le tecnologie sono radicalmente cambiati mentre gli interventi normativi che sono succeduti alla Legge 112 non hanno seguito la stessa velocità di adeguamento ai mutamenti intervenuti. Venti anni addietro i due principali protagonisti del mercato audiovisivo nazionale, Rai e Mediaset, erano appena agli inizi della nuova era digitale: le piattaforme OTT, lo streaming sempre più diffuso, le diverse abitudini di fruizione dei prodotti e il “nuovo” pubblico che si andava formando hanno reso la competizione più complessa e articolata su diversi fronti. Sarà quindi difficile tenere separati i due ambiti: per un verso la sola riforma Rai (e vedremo le numerose difficoltà che già sono emerse) e per altro verso il resto del complesso audiovisivo nazionale dove il Servizio Pubblico gioca un ruolo ancora fondamentale.

Il dibattito sulla riforma del sistema audiovisivo

Oggi, il tema al centro del dibattito sul sistema audiovisivo nazionale è esattamente in questi termini: che tipo di riforma è necessaria cioè riferita alla sola Rai o all’intero sistema audiovisivo, quali obiettivi si deve porre e in quale contesto si dovrà collocare?

Al momento, il dibattito/confronto tra le forze politiche è fermo al 22 ottobre, ovvero “incardinato” come si è detto all’indomani del voto del 26 settembre, nell’VIII Commissione del Senato dove sono state depositate sette proposte. Si tratta della n.163 (Gasparri, FI), la n.199 (Nicita, PD), la n.611 (Bizzotto, Lega), la n. 631 (Martella, PD), la n.828 (De Cristofaro, AVS-SI), la n.1242 (Bevilacqua, M5S) e la n. 1257 (Borghi, IV). Da allora, non ci sono stati passi avanti e non sono state ancora calendarizzate le audizioni dei diversi soggetti interessati. Da un punto di vista strettamente procedurale, per avviare il confronto complessivo tra i partiti manca ancora un testo organico della maggioranza di Governo. Il 5 novembre scorso, il senatore Maurizio Gasparri ha annunciato la presentazione di una nuova proposta organica del sistema, non solo della Rai ma ancora non è pervenuta: “Faremo una legge contro i giganti del web”.

Un prossimo passo dovrebbe consistere nel cercare di unificare le diverse proposte in un disegno unico, in grado di raccogliere il più vasto consenso possibile e quindi rendere il percorso di riforma sufficientemente robusto e resistente nel tempo. Tutto questo dovrebbe avvenire in un contesto in cui “l’Europa ci chiede”di intervenire presto (a partire dal prossimo agosto) e in profondità con una riforma indicata dettagliatamente dall’Emfa (European Media Fredom Act) in grado di assicurare l’omogeneità della regolamentazione comunitaria in materia di audiovisivi nonché specifici meccanismi di tutela economica ed editoriale del Servizio Pubblico.  

Le proposte di cui sopra hanno un denominatore comune prevalente: la riforma del sistema di governance della Rai, sostanzialmente finalizzato al superamento della Legge 220 del 2015, la cosiddetta “Legge Renzi”. Con quel provvedimento venne istituita la nuova figura dell’Amministratore Delegato formalmente proposto dal Governo insieme al Presidente (che però deve ottenere la maggioranza della Commissione Parlamentare di Vigilanza) mentre 4 amministratori sono votati dal Parlamento ed uno dai dipendenti (si tratta di una nuova figura). I nodi sostanziali sono: i criteri di selezione dei candidati amministratori, la fonte di nomina e la durata del mandato. Un tema che suscita grande interesse è la creazione di una Fondazione che in alcune versioni dovrebbe avere con il compito di gestione e di indirizzo delle attività Rai. Rimane relativamente marginale il tema del finanziamento che varia da chi vorrebbe abolire del tutto il canone (Lega) a chi propone il passaggio degli oneri di gestione alla fiscalità generale per un importo stimato in 2,7 mld di euro.

Le difficoltà politiche e istituzionali della riforma

Infine, per dare piena idea della complessità non solo tecnica/giuridica del problema “riforma” è necessario tenere conto di un elemento che, al momento, tiene bloccato il dibattito: la nomina del/la presidente del Cda di Viale Mazzini (ormai si dovrà dire “ex” vista la sua chiusura per la bonifica dall’amianto). Come noto, maggioranza e opposizione sono rigidamente fermi sulle loro posizioni: da un lato i partiti di Governo che sostengono Simona Agnes e, dall’altro, i partiti di opposizione che invece richiedono un nome diverso, “autorevole e di garanzia”.

Per quanto è dato sapere, non sembra esserci quel clima di dialogo e confronto senza il quale ben difficilmente la riforma, quale che essa sia, possa andare avanti. Una riforma di una parte sola o una scarsa adesione parlamentare è destinata a vita breve, cioè proprio il contrario di ciò che invece è necessario.   

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