Il CdA di Viale Mazzini ha deciso “… all’unanimità, di rinviare l’implementazione del piano industriale e delle direzioni per generi. Questo significa che fino al 31 dicembre le Reti opereranno secondo le modalità attualmente in vigore. Anche il budget 2020 sarà rinviato di conseguenza”. La decisione, di pochi giorni fa, è impegnativa e rimette in discussione un capitolo importante del futuro del Servizio Pubblico. Nonostante questo, il tema è passato pressoché inosservato sulla stampa nazionale mentre FIRSTFonline da tempo ha seguito con attenzione l’argomento.
Per appronfondire: La Rai e il piano industriale fantasma e, più recentemente, Piano industriale Rai: rivoluzione o poltronificio?
Cerchiamo ora di ricostruire cosa è successo nel frattempo e di interpretare cosa potrebbe significare per il prossimo futuro. Il Piano industriale Rai nasce sulla spinta del Contratto di Servizio in vigore che, all’art. 25 (u) prevede esplicitamente che “la Rai è tenuta a presentare al Ministero … un piano industriale di durata triennale che, sulla base della definizione di adeguate risorse, rese disponibili dalle quote di canone destinate al servizio pubblico, per lo svolgimento delle attività di cui al presente Contratto, preveda – in coerenza con le previsioni della Convenzione – interventi finalizzati a conseguire: i) obiettivi di efficientamento e razionalizzazione attinenti agli assetti industriali, finanziari e di produttività aziendale …”.
La scadenza per la presentazione era prevista poco dopo l’insediamento dell’attuale vertice di Viale Mazzini che proprio per questo motivo ottenne un rinvio. Non è irrilevante notare la cronologia “politica” del Piano. Successivamente, oscilla e tentenna più volte la “consegna” in Commissione di Vigilanza chiamata ad esprimere un parere non vincolante, avvenuto con un Atto di indirizzo nel novembre scorso. Dopo di che, la palla è passata al Mise dove si insedia il nuovo ministro Stefano Patuanelli. Il clima intorno alla Rai cambia completamente e, da più parti, arrivano attacchi diretti e indiretti proprio ad uno degli aspetti più sensibili che interessano il Piano: il canone. Per arrivare, infine, al via libera da parte del Governo si è reso necessario un “placet” prima da parte del segretario del PD Nicola Zingaretti e poi da parte dell’azionista di maggioranza, il ministro Roberto Gualtieri, con incontri ufficiosi, mai smentiti, con l’AD Fabrizio Salini.
Come abbiamo scritto, la debolezza strutturale di questo documento è proprio nelle risorse economiche che gli sono destinate. Da un lato la pubblicità che, come noto, nel settore televisivo è costantemente in calo a favore di quella destinata a Internet. Per altro lato, il canone, è sottoposto a condizioni stringenti che, a fronte di costi industriali crescenti, è vincolato a rimanere stabile mentre, allo stesso tempo, il Governo si appropria indebitamente di parte dello stesso che invece dovrebbe essere costituzionalmente “indisponibile”. Da non dimenticare quanto avvenne nel 2014, Governo Renzi, con il prelievo forzoso di 150 milioni. In poche parole: alla Rai il Contratto di Servizio, e il Piano che ne deriva, chiede di fare di più di quanto è in grado di fare con minori o pari risorse.
Arriviamo ai giorni nostri. Con l’inizio di questo momento drammatico della vita del Paese e con l’obiettivo di tutelare le imprese e quanti partecipano alla vita economica e sociale, il Governo nel provvedimento “Cura Italia” aveva previsto un contributo di 40 milioni a favore di Viale Mazzini necessario a fronteggiare le difficoltà dovute ai prevedibili minori introiti causati dalla crisi sanitaria. Al dunque, il contributo è saltato nel testo definitivo perché “non prioritario” come ha dichiarato testualmente il ministro Patuanelli, lo stesso che pochi mesi prima, in Vigilanza, dichiarò che “Un ragionamento sulla riduzione del canone deve essere fatto dopo che ci sarà una razionalizzazione dei costi”.
Con questi presupposti si arriva al Cda di Viale Mazzini dei giorni scorsi dove si deve prendere atto che “ … purtroppo la tempistica prevista non potrà essere rispettata, essendo la Rai chiamata a onorare il proprio mandato di servizio pubblico in condizioni di emergenza per il Paese e dunque anche per l’azienda Rai”. Il perno di questa decisione sembra poggiare tutto sul calendario e sulle scadenze dettagliate previste dal Piano (alcune delle quali, come il canale in lingua inglese e quello istituzionale già in ritardo, pure se non c’erano particolari ragioni per non farle partire).
Invece, difficile non cogliere la lettura “politica” di questo rinvio. I partiti che sostengono l’attuale Governo non sono gli stessi cha hanno nominato l’attuale Cda e, da tempo in particolare il PD, si chiede un “riallineamento” con l’attuale maggioranza almeno nei Tg e poi nelle reti. Da alcuni mesi, questo problema è rimasto in stallo fino all’arrivo del Coronavirus che ha imposto di rivedere effettivamente le “priorità” ma, evidentemente, di non dimenticare gli interessi della politica sul Servizio Pubblico.
Quali prospettive si possono intravvedere? Il comunicato del Cda parla di “fine 2020”, cioè pochi mesi prima della scadenza naturale dell’attuale vertice di Viale Mazzini. La cronologia del Piano è completamente saltata e si dovrebbe immaginare un suo aggiornamento proprio alla vigilia della sua scadenza, posto che il periodo di validità 2018-21 possa venire prorogato, cosa tutt’altro che scontata.
Nel frattempo, come pure abbiamo già scritto su FIRSTonline, sono in corso importanti scadenze che impattano profondamente sul futuro della Rai (vedi la transizione al DVB-T2). Difficile prevedere cosa potrà succedere non appena la crisi drammatica del coronavirus sarà finita. Certamente, a Viale Mazzini, nulla sarà mai più come prima, non solo per la sua politica industriale.