In qualsiasi azienda editoriale al mondo, l’azionista definisce la mission, pone degli obbiettivi, delinea dei vincoli, declina un codice di comportamento, e poi, e sottolineo “poi”, chiama a governare il progetto i professionisti che ritiene più idonei .Per un gioco delle parti ormai inspiegabile al punto in cui siamo, per la Rai questa regola sembra non valere. E pensare che proprio la sua natura di azienda pubblica sostenuta da una tassa di scopo reclama una attenzione particolare.
La settimana che si è conclusa, ha registrato una violenta polemica da parte di autorevoli esponenti del Pd renziano contro il dg. Campo Dall’Orto, tenacemente voluto proprio da Renzi alla guida della Rai. E per agevolarne l’azione lo stesso Renzi ha imposto una legge che riduce a semplice rappresentanza il ruolo del consiglio di amministrazione ed un’altra per assicurare risorse certe inserendo il canone nella bolletta dell’energia elettrica.
Nessuno, a partire dal 1994 con l’avvio della seconda Repubblica, ha mai avuto l’autonomia e la certezza di risorse di cui dispone Campo Dall’Orto. Se, nonostante tutto questo, il più autorevole esponente del Pd in commissione parlamentare di Vigilanza, ha avvertito il dovere di criticare aspramente la gestione della Rai arrivando a minacciare una gara sulla convenzione, significa che siamo in presenza di un corto circuito molto pericoloso. E’ vero che nel frattempo il vertice aziendale ha dovuto incassare le critiche di Cantone per come sono state gestito alcune assunzioni, così come il giudice del lavoro ha bocciato l’iter scelto per portare in Rai un noto giornalista di Sky, il tutto condito dalla sonora bocciatura da parte del pubblico televisivo delle principali novità introdotte dalla squadra del Dg.
Ma sono situazioni facilmente addebitabili ad una evidente carenza di cultura aziendale. La Rai è una realtà complessa e se si cerca di governarla senza prima averne compreso regole e potenzialità, le figuracce sono nell’ordine naturale delle cose. Con un po’ più di attenzione e con un pizzico di umiltà, per il momento non pervenuta, non sarà difficile, per il nuovo vertice, invertire la china. Resta da capire, in tutto ciò, il ruolo della presidente. Monica Maggioni è una giornalista di lungo corso aziendale, è stata anche direttore di testata e dunque conosce molto bene le regole che sovrintendono all’assunzione di giornalisti.
Perchè non ha sentito il dovere di evitare al Dg ed alla Rai una sonora figuraccia? Un segnale di non condivisione delle scelte oppure semplice distrazione magari dovuta all’impegno profuso per assumere un ruolo sempre più importante nell’ambito della Trirateral?Registrate ed archiviate tutte queste questioni sotto la voce “cattiva gestione”, non difficilmente ribaltabile per chi possiede esperienza e cultura televisiva come Campo Dall’Orto, resta l’enorme gravità della denuncia dell’Anzaldi: manca la cifra del servizio pubblico ed allora tanto vale mettere in competizione tutti gli attori per il rinnovo della convenzione.
Ma se manca l’idea del servizio pubblico, ed io concordo e lo sottolineavo anche prima della nomina dell’attuale vertice, la responsabilità non è di Campo Dall’Orto, ma dell’on. Anzaldi e dei suoi colleghi. E’la politica che deve ottemperare a questo compito, avvalendosi di tutti i consulenti che ritiene utili, ma senza nascondere la testa sotto la sabbia. E’ la commissione parlamentare di indirizzo e di vigilanza che continua a “vigilare” magari per ottenere qualche piccolo favore, ma si guarda bene dal dettare gli indirizzi, dal definire il senso e gli obbiettivi di un servizio pubblico che ha bisogno di essere adeguato ad una società in profondo cambiamento.
Senza questo passaggio continueremo a restare in una liquidità permanente nella quale guizzano con sommo piacere pesci di lungo corso, come Carlo Freccero, grande giocoliere di parole ma soprattutto grandissimo costruttore di palinsesti, che ha ripreso a
lanciare messaggi d’amore a Berlusconi nella speranza di essere richiamato a corte. C’è molta confusione nel cielo della TV.