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Rai: canone, reti, testate, Rai Way, tutte le novità della Convenzione ai raggi X

Dopo aver letto e riletto attentamente il testo originale dello Schema di Convenzione tra il ministero dello Sviluppo economico e la Rai per la concessione del servizio pubblico radiotelevisivo (titolo originale) siamo ora in grado di fare alcune considerazioni nel merito. Vediamo quelle di maggiore rilevanza. La prima di carattere generale: è fatto salvo il principio che la Rai presta un servizio di interesse collettivo e, in quanto tale, viene mantenuto in quota di riserva esclusiva dello Stato, anche se viene ridotto l’arco temporale di riferimento da venti a dieci anni.

Sembra poco ma non lo è rispetto a quando e a quanti, fino a non molto tempo addietro, pensavano che la Concessione potesse essere messa all’asta tra i diversi soggetti direttamente interessati a supplire alla fornitura di “servizio pubblico radiotelevisivo”. La seconda riguarda la pubblicità: abbiamo scritto anche noi, e temuto, che si potesse introdurre un nuovo limite agli affollamenti pubblicitari con un diverso criterio di ripartizione che, se applicato, avrebbe potuto comportare una stima di perdite intorno ai 100 milioni di euro annui. All’art. 9 del testo invece si rinvia ai vigenti articoli 37 e 38 del Testo unico dei servizi audiovisivi, lasciando di fatto inalterati gli schemi di ripartizione. 

Le novità che appaiono più significative si trovano nella lettura verticale del testo. Laddove si introducono, ad esempio, (al comma 5 dell’art 1) i principi di efficienza e competitività, criteri tipici essenziali di una normale azienda industriale che compete sul mercato. Con questa stessa lettura si affronta il problema della ridefinizione delle testate giornalistiche, del numero delle reti generaliste, del posizionamento nell’offerta multimediale. Si tratta di una novità culturale di rilievo: finora la rendita di posizione legislativa di cui ha goduto la Rai viene ridiscussa in forza della verifica di qualità: se funzioni ti pago, altrimenti vai a casa, come dovrebbe essere in condizioni industriali normali. 

I pilastri sui quali poggia questa osservazione sono il nuovo contratto di servizio che si dovrà stipulare successivamente alla Convenzione e il canone. Sul primo punto ci sarà ancora molto da discutere, laddove dovranno essere fissate, ogni cinque anni, le linee guida sul “contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico radiofonico, televisivo multimediale definite in relazione allo sviluppo dei mercati, al progresso tecnologico e alle mutate esigenze culturali, nazionali e locali” (art.6.4). per quanto riguarda il canone, la novità è decisamente rilevante: questo verrà sottoposto, ogni anno ad una verifica di “realizzazione degli obiettivi di efficientamento e razionalizzazione indicati nel contratto nazionale di servizio”.

Abbiamo scritto anche noi che il canone dovrebbe rappresentare una fonte certa sulla quale contare per gestire un qualsivoglia piano industriale in grado di andare oltre i 12 mesi. Finora è successo che, come lo scorso anno, la misura del canone è stata usata più come clava politica che non come strumento finanziario.  Ricondurlo a criteri di efficienze appare quindi senz’altro positivo: agli occhi di chi lo paga si fa ritenere che la tassa è utile se in cambio viene corrisposto un determinato servizio, altrimenti si riduce. In questo contesto, viene ribadito il principio della contabilità separata rispetto alle risorse da canone e da pubblicità. 

Lo stesso ragionamento vale per la questione delle reti e delle testate giornalistiche. Da tempo se ne parla (vedi il precedente piano Gubitosi) ma finora senza risultato. Ora non si tratta più di un mero progetto aziendale ma di una disposizione avente forza di legge: si prevede “La rimodulazione del numero dei canali non generalisti… e la ridefinizione del numero delle testate” (art. 1, 6 e 7) con l’obiettivo dell’efficientamento dei costi e la valorizzazione delle risorse interne. Nulla da eccepire, si tratta certamente di un ottimo intendimento. Non vi è ormai dubbio che la qualità dei canali tematici offerti dalla Rai sia non equilibrata nel rapporto prodotto/costi/ benefici in un contesto di mercato dove il pubblico si orienta sempre più verso scelte di altro tipo. Sul numero delle testate, sembra siano tutti concordi: è urgente e necessaria una ristrutturazione efficiente e funzionale ad una richiesta di informazioni in grado di competere con l’offerta on line.  

Veniamo ora ad una questione di cui abbiamo scritto molto: l’innovazione tecnologica. L’art. 4 della Convezione si occupa di infrastrutture e impianti e si riferisce direttamente Rai Way. Il testo sembra voler orientarsi verso due filoni: il primo è l’evoluzione della normativa nazionale, europea e internazionale. Si legge, tra le righe, il mutamento prossimo venturo sul digitale terrestre a seguito dell’applicazione delle disposizioni comunitarie sui 700 Mhz. A questo proposito, proprio ieri abbiamo saputo che nel testo che andrà in votazione a maggio a Bruxelles si parla dello switch off del DTT al 2030. La seconda invece (art. 4.3) sembra voler dare via libera alle aggregazioni societarie sulle torri di trasmissione laddove si legge che “ può essere prevista la realizzazione di impianti comuni con altri operatori televisivi e di telecomunicazioni”. Non si dice di più ma possiamo ricordare la nostra intervista al Sottosegretario Giacomelli quando ha ricordato che l’iniziativa in tal senso è in mano alle aziende. 

Ora la partita si sposta in Commissione parlamentare di vigilanza per un parere obbligatorio ma non vincolante. Si tratta di capire quali saranno gli orientamenti che emergeranno e come verranno recepiti nel Contratto di servizio. A Viale Mazzini, sempre sottovoce, qualcuno commenta: “poteva andare peggio”.

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