Nei giorni scorsi è stato pubblicato un importante documento sul tema Rai a cura dell’Osservatorio delle Imprese istituito presso la Facoltà di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università La Sapienza, coordinato dal Professor Riccardo Gallo, già Direttore generale del Ministero del Bilancio e vicepresidente dell’Iri. Si tratta di un lavoro che viene a cadere proprio in un momento molto complesso e delicato che interessa il Servizio Pubblico radiotelevisivo e il suo prossimo futuro.
Il prossimo contratto di servizio Rai
Anzitutto, crisi politica permettendo, è in pieno svolgimento il dibattito/confronto sulle linee guida del prossimo Contratto di Servizio, che andrà in vigore a partire dal prossimo anno e con il quale verrà definito il percorso che la Rai dovrà necessariamente perseguire in applicazione di quanto già previsto dal Contratto di Concessione con lo Stato che scadrà nel 2027. Lo stesso Contratto di Servizio, attualmente in vigore, inoltre, prevede che l’Azienda debba dotarsi di un Piano industriale triennale (congiuntamente ad uno editoriale) con il quale si dovrà articolare dettagliatamente la gestione operativa e il perimetro dell’offerta editoriale definita a sua volta dallo stesso Contratto di Servizio. Dunque, come abbiamo avuto modo di trattare in precedenza su FIRSTonline, i tre livelli di intervento sulla Rai (Concessione Contratto di Servizio e Piano Industriale) si intrecciano profondamente tra loro per convergere nella medesima direzione: fornire all’Azienda un quadro di riferimento normativo sufficientemente ampio e dettagliato.
L’Atto di indirizzo
Il report ricorda opportunamente che lo scorso 18 maggio la presidenza del Consiglio ha reso noto l’Atto di indirizzo per la definizione delle linee guida sul contenuto del Contratto di servizio 2023che ora dovranno poi convergere con quelle che AgCom ha già tracciato lo scorso marzo e che si prevede saranno definitivamente approvate entro la fine del mese per poi costituire la “traccia di lavoro” sulla quale Rai e MISE scriveranno una bozza che successivamente dovrà essere bollinata in Vigilanza Rai e arrivare al documento conclusivo, che, infine, sarà approvato dal Cda Rai e dal MISE. Dunque, si tratta di un percorso ancora lungo e complicato, non fosse altro proprio per via di quel passaggio in Commissione di Vigilanza Rai dove il tema è stato spesso al centro delle attenzioni dei parlamentari.
Addio al canone in bolletta
Il documento dell’Osservatorio delle Imprese è di grande pregio e accuratezza ed è riccamente corredato da un’attenta analisi della gestione economica dell’Azienda che l’ha portata a uno stato di crisi preoccupante che interessa i conti attuali ma ancora di più il reperimento delle risorse necessarie per gli investimenti futuri. Il problema è sempre lo stesso: è difficile immaginare un percorso di sviluppo se non ci sono certezze sulle risorse, come pure ha sottolineato più volte l’AD Rai Carlo Fuortes. Il report ricorda poi che la normativa europea sulla concorrenza imporrà che il canone Rai non potrà essere più riscosso attraverso la bolletta elettrica come avviene ora, ma in una nuova e diversa modalità che ancora non è stata definita dal Governo e che al momento nessuno è in grado di anticipare (si ipotizza una connessione con la tassa automobilistica o con l’uso/possesso di un’abitazione). Da ricordare poi il modello “francese”, che prevede l’abolizione del canone.
Più debiti o canone più alto?
Per affrontare le incertezze economiche e le sfide tecnologiche sul futuro della Rai, il report in premessa avanza due ipotesi suggestive quanto impegnative: la prima consiste nella possibilità di “indebitarsi di più”, come ha scritto il Prof. Gallo, mentre la seconda sembra essere assai più complessa: “La soluzione più facile è che il governo decreti entro la fine del 2022 un forte aumento del canone”. Vale la pena soffermarci su questo aspetto per la sua rilevanza sociale e politica.
Il canone Rai è stato spesso definito come “la tassa più odiata dagli italiani”, tant’è che prima della sua modalità di riscossione in bolletta il livello di evasione aveva raggiunto livelli preoccupanti, stimati intorno al 30%. Ora, proprio per quanto rilevato dallo stesso report sulle profonde modifiche intervenute nel mercato degli audiovisivi, sulle nuove modalità di fruizione dei prodotti digitali, appare molto difficile supporre che gli italiani possano accettare di buon grado una tale possibilità. Gli stessi partiti che compongono la maggioranza di Governo, in momenti diversi e per bocca di autorevoli esponenti politici si sono addirittura pronunciati o per una sua abolizione o per una sua revisione. Mentre rimane tutt’ora insoluto l’annoso tema dell’extragettito del canone trattenuto dallo Stato per altri utilizzi rispetto a quando la Legge prevede sulla destinazione del canone Rai. Si tratta quindi di un tema di particolare delicatezza istituzionale, che viene a cadere proprio a ridosso dell’apertura della prossima campagna elettorale, dove è presumibile che nessuno sarà disposto a proporre ai propri elettori un aumento della tanto odiata tassa.
Ecco allora che l’intreccio tra Contratto di Servizio e Piano Industriale evidenzia tutta la sua complessità laddove si palesano le poche scelte sulle quali operare che, grosso modo, si sintetizzano così: a parità di risorse ridurre il perimetro degli impegni oppure aumentare le risorse per sostenere gli impegni che si prevedono debbano essere adempiuti. In questa seconda ipotesi, si tratta di affrontare due perimetri molto impegnativi: nuovi prodotti per nuove piattaforme laddove gli investimenti da reperire sono molto rilevanti.
La quota residua in Rai Way
Il report dedica poi un capitolo alla “vexata questio” sulla vendita della quota residua di Rai Way ancora in mano all’Azionista di maggioranza Rai. A questo proposito, il ministro Giancarlo Giorgetti (Mise) è stato molto chiaro: prima ha dichiarato a marzo scorso che “il problema, però, è che se la Rai scende dal 64% al 30 e non cambia niente, e lo fa solo per portare a casa un po’ di soldi, ripianare i debiti e continuare a farne altri, allora questo non deve accadere”; poi, recentemente in Vigilanza, ha aggiunto che “per mantenere il controllo pubblico sulla struttura, e far affluire risorse in Rai si sono già sperimentate nel corso della storia, delle formule con l’intervento di soggetti che hanno comunque il controllo pubblico pur non essendo soggetti pubblici, come CdP”. La partita è tutta aperta ma gli esiti non sembrano affatto scontati, vista pure la complessità della crisi politica in corso. Rimane il contributo dell’Osservatorio delle Imprese come documento di analisi e riflessione di grande interesse del quale tenere debito conto.