X

Racconto della domenica: “Mio eroe” di Davide Lisino

Il Principe Azzurro aggredì Olivia nel parco, mentre faceva jogging. 

Erano circa le sette e venti di sera; il sole era appena tramontato dietro gli alberi e il cielo sopra la città stava sfumando dall’arancione a un viola metallico. 

Olivia, in tuta aderente e cuffie dell’iPod nelle orecchie, superò un anziano pensionato che portava il barboncino a spasso. Il cane scattò verso di lei, tentando di azzannarle una caviglia. Olivia sobbalzò spaventata e fece un salto di lato per non farsi mordere. 

Il vecchio tirò il guinzaglio del cane: «Poldo, che fai?».

Olivia, senza smettere di correre, si voltò verso il vecchio e protestò dicendo: «Gli metta la museruola, no?».

Il vecchio osservò il cane con espressione smarrita: «Perché? Non ce l’ha?».

Olivia scosse la testa, seccata. Gesù. Tra l’altro, le stavano venendo le mestruazioni e si sentiva già nervosa di suo senza che ci si mettessero pure il cane Poldo e il vecchio da interdire. 

Superò un uomo sui quaranta che spingeva un passeggino e imboccò il sentiero sulla destra, quello dove, più avanti, c’era la statua di Cesare Beccaria, il giurista cha aveva scritto il saggio Dei delitti e delle pene

Prendeva sempre quel sentiero, un po’ perché era il percorso più regolare, senza troppe discese, né salite; e un po’ perché anche lei si stava laureando in Giurisprudenza, proprio con specializzazione in diritto penale, e quindi il sentiero di Beccaria le sembrava in qualche modo un segno del destino.

E poi alle medie aveva preso una bella cotta per un ragazzino con l’apparecchio che si chiamava Cesare. Anche questo rientrava nei segni? Forse. Chissà. Lei non pensava certo a se stessa come a una sprovveduta, ma al destino credeva e comunque le piaceva l’idea che tutto fosse collegato, in qualche modo.

Giorni dopo, quando tutto fu finito, rifletté che in effetti quella sera segni da collegare ce n’erano stati, solo che lei li aveva collegati un po’ in ritardo. 

Entrò nel breve tunnel sotto il ponticello che portava al fiume. Alla fine del tunnel, accanto all’entrata, c’era l’uomo col passeggino che aveva superato poco prima. Lo stava facendo andare avanti e indietro, cullando il figlio. 

L’aveva già incrociato tre volte durante la sua corsa, quell’uomo. La prima quando era entrata nel parco e lui stava uscendo; la seconda quando l’aveva visto seduto su una panchina, di nuovo nel parco; e l’ultima quando lo aveva superato appena cinque minuti prima. 

Se avesse fatto due più due, si sarebbe chiesta come mai uno che aveva appena lasciato il parco fosse di nuovo lì in giro. E soprattutto si sarebbe chiesta come mai ora fosse davanti a lei, se lo aveva superato di corsa. 

L’uomo avrebbe dovuto prendere una scorciatoia in mezzo al bosco, ma come aveva fatto a essere così veloce col bambino? 

Questi ragionamenti, però, Olivia li fece a posteriori. Come a posteriori seppe che era stata presa di mira dal serial killer soprannominato dai media Principe Azzurro perché, dopo aver sbudellato le donne con un coltello da macellaio, usava incoronarne la testa con una ghirlanda di fiori. 

A Olivia piaceva tenersi informata, leggeva i giornali tutti i giorni e sapeva del serial killer. Ma aveva continuato a correre da sola nel parco perché, in realtà, non era davvero preoccupata. Tutte le vittime precedenti erano state scelte fra le prostitute e siccome lei non apparteneva alla categoria non c’erano problemi. 

E invece. 

Secondo i calcoli, Olivia avrebbe dovuto essere le sesta vittima del Principe Azzurro. 

In quella manciata di attimi, mentre gli sfilava accanto per uscire dal tunnel, la ragazza notò che la fronte dell’uomo era sudata e che le mani erano infilate in guanti bianchi di lattice. 

Poi l’uomo allungò la mano all’interno del passeggino e la risollevò impugnando un coltello con una lama di venti centimetri, come se gliel’avesse prestato un cazzo di neonato arrotino. 

Olivia si accorse con la coda dell’occhio del coltello e fu questo a salvarla quando l’uomo le saltò addosso. Si scansò emettendo un breve grido; la lama tagliò il cavo di un auricolare dell’iPod e la prese di striscio sul fianco. La ferita cominciò subito a bruciarle. Il killer sferrò un’altra coltellata, lei alzò d’istinto il braccio sinistro per difendersi e il coltello le affondò nella carne. Stavolta urlò forte e chiaro. 

Attraverso l’auricolare sano, la voce di Vasco Rossi le cantava nell’orecchio Buoni o cattivi.

Il killer ritirò il braccio estraendo la lama e fece per dare l’ennesima coltellata. Olivia indietreggiò, ma sbatté la schiena contro la parete del tunnel. Era spacciata. 

Il killer abbassò il coltello e Olivia riuscì a fermargli il polso con la mano. Era una ragazza sportiva ed era abbastanza forte, ma sapeva che non avrebbe potuto reggere per molto. Il sangue le sgorgava dalle ferite portandosi via le energie più velocemente di come un ladro fa con l’argenteria. 

Il killer, il viso a pochi centimetri da quello di Olivia, la fissava con gli occhi spalancati, da pazzo, e le labbra contratte, da pazzo pure quelle. L’odore del dopobarba, invece, non sembrava male, ma non ci avrebbe giurato visto che era concentrata sul non farsi ammazzare. 

Olivia iniziò a gridare aiuto. Lo urlò un paio di volte, poi si ricordò che se gridi aiuto, la gente accorre più difficilmente perché pensa subito a un’aggressione e si spaventa. In questo caso la gente ci avrebbe preso in pieno e allora Olivia fece come consigliavano gli esperti di autodifesa: gridò al fuoco, così chiunque fosse stato nei paraggi avrebbe pensato a un incendio e non a un’aggressione, e sarebbe accorso perché istintivamente le fiamme fanno molto meno paura di un uomo violento. 

«Al fuoco!» disse Olivia mentre lottava. «Al fuoco!»

Il killer parve un po’ confuso. «Che cacchio dici?»

«Che cacchio te ne frega?» rispose lei. 

Related Post

Il Principe Azzurro, come se fosse rimasto offeso per la risposta acida, le tirò una ginocchiata nel fianco, Olivia si piegò e il killer liberò la mano col coltello. 

Non veniva nessuno a salvarla. In giro non c’era anima viva. Per quello che era servito, anziché al fuoco, avrebbe potuto tranquillamente gridare “Forza Juve” o “Supercalifragilistichespiralidoso”. 

Olivia si rannicchiò per terra.

«No, ti prego, pietà.»

Il Principe Azzurro le tirò i capelli per farle alzare la testa e guardarla in faccia.

«Siete tutte così banali nei vostri ultimi istanti di vita» disse il killer. Quindi sospirò: «Meno male che devo squartarvi e non fare conversazione». 

D’un tratto qualcosa colpì di lato la testa del Principe Azzurro e il serial killer crollò a terra. 

Olivia vide chi aveva messo al tappeto il suo aggressore: un bel ragazzo alto con una felpa nera col cappuccio, occhiali da vista rotondi e soprattutto un martello in pugno. Sembrava giovane, uno studente di liceo. 

Dopotutto alla fine qualcuno era accorso. Da qualche parte, lassù, avevano ascoltato il suo grido di aiuto. O di al fuoco, va be’. Comunque sia, le era stato mandato un salvatore. 

Il Principe Azzurro, però, si rialzò. Aveva la fronte che sanguinava. Scosse la testa per schiarirsi la vista e strinse la mano sul coltello da macellaio. 

«Lei è mia» disse il Principe Azzurro. 

«Non credo proprio» disse il ragazzo.

Il Principe Azzurro si slanciò contro il ragazzo, ma questo scansò l’affondo e lo colpì sulla tempia con la scioltezza di un giocatore professionista di squash. Si udì un terribile rumore, come di uova rotte, e il Principe Azzurro fece un giro su se stesso e stramazzò sul passeggino, rovesciandolo. Ne caddero fuori il bambolotto di un neonato e una ghirlanda di fiori. 

Il coltello del killer era scivolato vicino ai piedi di Olivia e la ragazza si affrettò a prenderlo, per evitare che tornasse nelle mani sbagliate. 

Intanto il ragazzo si avvicinò al Principe Azzurro e continuò a prenderlo a martellate sulla testa. 

“Il mio eroe” pensò Olivia, mentre nell’iPod Tina Turner cantava Simply the Best

Si sentì finalmente sollevata. Era talmente felice di non essere morta che i tagli alle braccia e al fianco le sembravano meno importanti di una tintura di capelli sbagliata. 

Il ragazzo smise di picchiare la testa del serial killer, ormai più simile a un pasticcio di rognoni che a una testa umana. 

Infine si voltò verso di lei, fiero, sorridente e con un leggero affanno per il gran martellare. Il volto e la felpa erano ricoperti di schizzi di sangue. 

Olivia spense l’iPod infilandoselo nella tasca della tuta e si rimise in piedi.

«Grazie, mi hai salvato» gli disse. Era un po’ a disagio. Perché, insomma, cosa si deve dire di preciso al proprio salvatore? Oppure doveva abbracciarlo? O baciarlo sulla bocca? E in quest’ultimo caso, ci andava la lingua? 

Il ragazzo scrollò le spalle: «Oh, di niente. È stato un piacere».

Una goccia di sangue gli scivolò sulla lente degli occhiali e gli cadde sul mento.

Olivia lo fissò. A pensarci bene, però, cosa ci faceva un ragazzo con un martello, in un parco di sera? 

Il ragazzo raccolse la ghirlanda del serial killer, la fissò. «Così era lui il Principe Azzurro.»

Olivia posò gli occhi sul cadavere. «Cosa? Davvero?»

Le mostrò la ghirlanda. «Questa, il coltello da macellaio… Ci sono pochi dubbi, direi.» Lasciò cadere la ghirlanda sulla testa sfracellata del serial killer. 

«Oh, mio Dio» disse Olivia. Rifletté un istante. «Un momento, io non sono mica una prostituta.» Era piuttosto seccante essere scambiate per mignotte. 

«Avrà voluto cambiare.» Alzò le spalle. «Il gusto della sfida, sai.»

«Ah.»

«Comunque» disse con timidezza il ragazzo «non potevo permettere che ti uccidesse».

Olivia accennò un sorriso. «Grazie mille.»

Il giovane proseguì: «Voglio dire, era un pedestre imitatore di Jack lo Squartatore. Un tipo senza estro, senza brio. Un burocrate dell’omicidio. Che palle.» La guardò. «Non trovi?»

«Non saprei.»

C’era qualcosa che non andava, adesso Olivia ne era sicura.

«Eh, te lo dico io» disse il ragazzo. Si picchiettò il dito sul petto. «Io sono meglio, fidati. Come il dvd rispetto al vhs.»

Olivia indietreggiò di un passo. «Prego?»

Il ragazzo guardò intenerito il martello sporco di sangue e di capelli del killer appiccicati e disse: «Ma sì, prega prima». Sogghignò. Poi fece per tirarle una martellata. 

Olivia, però, stavolta poteva difendersi. 

Stavolta aveva il coltello del Principe Azzurro. 

E fu più rapida del ragazzo. 

Gli piantò il coltello nella gola mentre l’altro alzava il braccio per colpirla. La lama lo trafisse uscendo dalla nuca. 

Il ragazzo fissò Olivia stupefatto, fece qualche gorgheggio che lei interpretò di protesta, e si afflosciò ammucchiandosi sul cadavere del Principe. 

Olivia appoggiò le mani sui fianchi e osservò il “suo eroe”, il coltello ritto nella gola come una paletta nella vaschetta del gelato. 

“Pensa te che stronzo” disse. 

Uscì dal tunnel. Fuori era arrivata inevitabile la notte.

Olivia tornò a casa. Non era andata al pronto soccorso e non aveva chiamato la polizia. Le ferite sapeva curarsele da sola e i cadaveri di quei due quando li trovavano, li trovavano, non erano affari suoi. 

Andò in bagno, si sfilò i vestiti, si fece una doccia; si disinfettò le ferite e poi, seduta sul water, si dette qualche punto con ago e filo. 

Quante probabilità c’erano che venisse aggredita da un serial killer e poi salvata da un secondo maniaco perché voleva avere lui il piacere di ucciderla? 

La vita era decisamente strana. Eh sì, capperi.

Olivia prese un antibiotico per prevenire le infezioni, indossò il pigiama e andò in cucina dove si preparò la cena. 

Finito di mangiare, tentò di rilassarsi un po’. Fra la stesura della tesi e l’indispensabile dose di vita sociale, non riusciva quasi mai a ritagliarsi del tempo per lei. E Dio solo sapeva quanto ne avesse bisogno, soprattutto dopo l’esperienza traumatica di quella sera. 

Andò nella camera dei giochi e aprì l’armadio. 

Abbassò lo sguardo sul corpo legato e imbavagliato del commesso del suo supermercato di fiducia. 

Lei era una ragazza carina; attirarlo in trappola, tre giorni prima, non era stato affatto difficile. Non lo era mai, in realtà. 

Il commesso mugolò terrorizzato e Olivia gli sorrise accarezzandogli la testa. 

Aveva dei bei capelli folti, era piacevole passarci le dita.

Ma in quel momento c’erano cose ben più piacevoli da fare. 

Quindi prese la mannaia.

. . .

Davide Lisino è nato Torino nel 1977. Laureato in Giurisprudenza, lavora come sceneggiatore di serie tv, prima per Endemol e poi per Sky, con la serie animata Adrian, ideata da Adriano Celentano con i disegni di Milo Manara e le musiche di Nicola Piovani. 

Nel 2008 pubblica il romanzo noir-comico Italian Cowboys(Fandango), una parodia delle storie di investigatori privati alla Philip Marlowe; nel 2011 esce Eroi esauriti per goWare. È autore di racconti e numerosi soggetti e sceneggiature cinematografiche. 

Appassionato di arti marziali, cintura nera di karate, vive fra Roma e Torino.

Categories: Arte