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Racconto della domenica: “Anna” di Gianfranco Sorge

Thesis

Me ne innamorai subito, fin dalla prima volta in cui lo vidi. Lucido nel suo marrone vellutato, striato da sottilissime venature nerastre, brillava, turgido e rilevato, su quella bianca pianura cutanea che caratterizzava orograficamente con la sua autoritaria presenza. Furbo, occhieggiava di tanto in tanto dalla scollatura seducente della sua maglietta arancione, facendosi ammirare per quella sua artistica collocazione.

Sì, fu quel grazioso neo ovalare, che risaltava sull’incarnato diafano del suo petto, la prima cosa che mi affascinò di Anna. Lo rinotai subito, quando la rividi la seconda volta. Impertinente si affacciava fra le traforature romboidali di un top nero, come un pesciolino che guizza gioioso nella rete di un pescatore eccessivamente ampia per intrappolarlo al suo interno. Sì, sì, fu quel neo impudente e ammaliante che mi spinse a trovare il tempo fra un’udienza e l’altra per corteggiarla.

Anna arrossì quando, dopo averle dato il primo bacio, le raccontai di quel suo neo e della mia voglia di vederlo, di toccarlo, forse anche di baciarglielo. Lei non me lo concesse. Ma lo feci io di prepotenza quando sei mesi dopo le chiesi di sposarmi e lei accettò.

Il nostro gioco d’amore prevedeva delle pungenti, sarcastiche battute che io le lanciavo su quel suo neo rigonfio e cicciuto, tant’è che lei scelse un abito da sposa che lo tenesse ben nascosto. Certo, a lei non piaceva, soleva dire con la saccenza tipica delle insegnanti di lettere: «M’imbruttisce terribilmente il petto e poi proprio là, sulla clavicola sinistra, rovina tutti i miei décolleté».

E io divertendomi ad assecondarla in questa sua preoccupazione sottolineavo: «Ne hai di ragioni per lamentarti di quel brutto scarabeo…».

Lui entrava spesso nei nostri discorsi, sia in quelli piacevoli sia in quelli tempestosi e conflittuali. Ancora dopo un anno di matrimonio c’era sempre lui a unirci o a interporsi fra noi. L’ago della bilancia della nostra relazione. Anche al lavoro, durante processi impegnativi, pensare a lui mi dava la carica necessaria da sfoggiare nel ruolo di pubblico ministero intransigente. 

Un noioso congresso mi separò da Anna per una settimana. Quando rientrai, lei sorridendomi mi disse: «Questa sera ti farò una sorpresa».

I suoi giochi allusivi erano come spezie pregiate d’Oriente che insaporivano il nostro rapporto. Dopo aver ascoltato le sue parole, avevo polarizzato il mio pensiero nel cercare di scoprire cosa mi volesse riservare, non riuscendo a riposare quel pomeriggio, nonostante fossi stanchissimo e comodamente disteso a letto.

Lo scoprii di sera, quando, iniziando le mie effusioni, non riuscivo a trovarlo e lei trionfante, come il generale di un’armata che ha sbaragliato l’esercito nemico, mi disse: «Ora non potrai più farti gioco di me! Un dermatologo mi ha aiutata a liberarmi definitivamente di quell’orrendo scarafaggio nero che deturpava il mio seno».

Rimasi paralizzato, avvolto da un malessere che mi cristallizzava il pensiero. Non riuscii a dire nulla. Accennai solo al fatto che ero molto stanco e mi staccai subito da lei.

La sentii addormentarsi dopo pochi minuti, sul suo petto c’era, al posto di quel grazioso neo, solo un piccolo alone. Mi sembrò artificiale. Anche il suo respiro appariva diverso, aspro, con una coloritura metallica. Certamente non poteva appartenere alla mia Anna. E fu in quel momento che intuii che un doppio, sì, un pericoloso doppio si era sostituito alla mia sposa. 

D’un tratto tutto mi divenne chiaro. Nel processo al boss Calogero Luisi, ero riuscito a farlo condannare smantellando la rete dei suoi traffici illegali. Alla lettura della sentenza, lui mi aveva lanciato un’occhiata raggelante, una chiara intimidazione alla quale non avevo dato peso. Sbagliavo. Ma certo, il suo clan malavitoso si era vendicato, privandomi della cosa più importante della mia vita.

Quella che giaceva nel letto accanto a me non era Anna, non riuscivo a riconoscerne l’odore, non mi sembrava neanche umana. Ma sì, certo, era un sofisticato androide pieno di microfoni spia con i quali i miei nemici mi avrebbero controllato.

Mi alzai in silenzio. Ero atterrito, non riuscivo a mettere a fuoco il da farsi.

Sì, quella minaccia di Calogero Luisi era diventata una realtà. Lui aveva trovato il modo di annientarmi ma io non glielo avrei consentito.

Corsi in cucina, dal cassetto delle posate trassi fuori un coltellaccio per la carne. Certo non gli avrei permesso di rovinarmi. Quel doppio inumano l’avrei massacrato.

Piangevo pensando alla mia Anna, la vera Anna, quella che era stata eliminata e sostituita. Un odio intenso mi accecava. Con passi felpati rientrai nella stanza da letto, non volevo che i sensori di quel doppio avvertissero la mia presenza.

Mi avvicinai piano al letto. L’automa che mi avrebbe dovuto annientare sarebbe stato distrutto da me. Ero orgoglioso di aver smascherato quell’inganno.

“Caspita come è stato realizzato bene, se non fosse per il neo sembrerebbe davvero Anna” dicevo fra me e me, mentre mi avvicinavo a lei pronto a colpirla mortalmente.

A un tratto mi sentii toccare da una mano invisibile, mi bloccava, e udii una voce…

«Svegliati, svegliati Marco.»

Mi destai. Era la voce di Anna che mi riportava alla realtà dall’incubo in cui ero scivolato in quel sonno pomeridiano.

Lui era là, sul suo petto. Mi rigirai nel letto e mi riaddormentai sereno.

L’autore

Gianfranco Sorge è nato a Catania, è medico chirurgo, dirigente psichiatra dell’azienda sanitaria catanese e docente di Psicopatologia presso la scuola di specializzazione dell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo (IIPG). I suoi racconti hanno ricevuto importanti menzioni in vari premi letterari nazionali. Con goWare ha pubblicato la raccolta È solo nella tua mente ed è reale (2015) e due romanzi: Squatter! (2018) e Perturbanti congiungimenti (2019).

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