Il governo ha approvato il decreto che introduce la quota 100 sulle pensioni. Di base, significa che da quest’anno e fino al 2021 si potrà smettere di lavorare con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi. Nel decreto, però, non c’è scritto solo questo: i paletti non mancano e le finestre d’uscita sono differenziate fra lavoratori del settore privato e dipendenti pubblici.
I punti fondamentali della nuova normativa sono riassunti in questo video.
Fra le novità dell’ultima ora c’è quella che riguarda il Tfr (o Tfs) degli statali. Da quest’anno, tutti i lavoratori pubblici che sceglieranno di andare in pensione (non solo con quota 100) riceveranno subito la liquidazione, anche se non per intero, ma fino a un massimo di 30mila euro. L’anticipo arriverà grazie a un prestito bancario su cui lo Stato pagherà il 95% degli interessi. Prima di questa correzione, la normativa prevedeva che gli statali dovessero aspettare fino a due anni prima di incassare il Tfr. Per chi sceglierà quota 100, di conseguenza, l’attesa rischiava di prolungarsi fino a un massimo di sette anni.
Per quanto riguarda le coperture, la Ragioneria dello Stato ha preteso l’inserimento di una clausola di salvaguardia. Se i fondi stanziati per quota 100 (22 miliardi nel triennio, di cui meno di 4 nel 2019) si riveleranno insufficienti a fronte delle richieste, scatteranno tagli al ministero del Lavoro. Se nemmeno questi basteranno, i tagli lineari colpiranno tutti i ministeri. Nella peggiore delle ipotesi, si arriverà a un aumento delle tasse.
Secondo Matteo Salvini, quota 100 porterà “un milione di uscite in tre anni”. Il vicepremier leghista ha poi assicurato che “nessuno si vedrà negato questo diritto alla pensione: i soldi ci sono o li troveremo, se ne serviranno di più”.
QUANTO BISOGNA ASPETTARE PER RICEVERE LA PENSIONE CON QUOTA 100?
Chi ha maturato i requisiti nel 2018 riceverà la pensione da aprile.
Tutti gli altri invece, cioè i lavoratori che raggiungono le soglie minime di età e contribuzione dopo il primo gennaio 2019, inizieranno a incassare la pensione tre mesi dopo aver maturato i requisiti.
COSA CAMBIA PER I DIPENDENTI PUBBLICI?
Per gli statali le finestre di uscita hanno una cadenza meno vantaggiosa. I dipendenti pubblici che maturano i requisiti entro il 31 gennaio 2019 hanno diritto alla pensione dal 1° agosto, mentre chi non rientra in questa finestra incasserà il primo assegno sei mesi dopo la maturazione dei requisiti.
FINO A QUANDO SI POTRÀ ANDARE IN PENSIONE CON QUOTA 100?
La misura viene introdotta “in via sperimentale per il triennio 2019-2021”. Fra tre anni, perciò, il governo valuterà se confermare la normativa, modificarla o eliminarla.
SI PUÒ ANDARE IN PENSIONE ANCHE A MENO DI 62 ANNI, PURCHÉ LA SOMMA CON GLI ANNI DI CONTRIBUTI SIA 100?
No. Il requisito anagrafico (62 anni) e quello contributivo (38 anni) sono due soglie minime da rispettare contemporaneamente. Di conseguenza, chi ha 63 anni andrà in pensione con quota 101 (63+38), mentre per i 64enni l’asticella salirà a quota 102 (64+38) e così via.
CHI VA IN PENSIONE CON QUOTA 100 RICEVE UN ASSEGNO PIÙ BASSO?
Il decreto non prevede penalizzazioni, ma chi va in pensione con quota 100 versa meno anni di contributi, perciò è chiaro che riceverà un assegno più basso di quello che avrebbe incassato smettendo di lavorare più tardi, con un normale pensionamento di vecchiaia. Secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio, il taglio dell’assegno è di circa il 5% in caso di anticipo solo di un anno, ma sale a oltre il 30% se l’anticipo è di 4 o più anni.
CHI RICEVE LA PENSIONE CON QUOTA 100 PUÒ LAVORARE?
No. La pensione incassata con quota 100 non è cumulabile con redditi da lavoro. L’unica eccezione è per i redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale, purché non superino i 5.000 euro lordi l’anno.
Il divieto però non dura per sempre: resta in vigore “fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia”. Cioè, con le regole attuali, fino all’età di 67 anni.
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