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Quirinale nella nebbia: perché ci vorrebbe un Patto costituzionale

Imagoeconomica

Per ora di sicuro c’è solo una data: il 24 gennaio 1007 grandi elettori cominceranno a votare per scegliere il nuovo Presidente della Repubblica. Per il resto domina la nebbia. A Bruno Tabacci, “Repubblica” (4 gennaio) ha chiesto: “Le sembra gestita questa elezione?”. Il sottosegretario lombardo, che si appresta a esercitare per la quinta volta nella sua lunga carriera il mandato di “grande elettore”, ha risposto: “Per niente”. E, in effetti, a meno di due settimane dal cruciale appuntamento, alle Camere e nei partiti non si è andati oltre qualche contatto informale e conciliaboli più o meno riservati: una situazione insolita e sconcertante, visto che il più numeroso gruppo parlamentare (eletto all’insegna del “tutto alla luce del sole” e al quale, per prassi, spetterebbe l’onere di farsi carico delle prime indicazioni formali) stenta a definire una posizione chiara e univoca.

Oggi, però, qualcosa potrebbe cambiare. Il Presidente del Consiglio ha convocato per il pomeriggio una conferenza stampa. L’oggetto annunciato dell’incontro è una più esauriente illustrazione dei recenti provvedimenti anti-Covid. È possibile, tuttavia, che a Mario Draghi vengano rivolte anche domande sul tema Quirinale e che dalle sue parole (o dai suoi silenzi) emerga qualche spunto utile per fare un po’ di luce. Tuttavia, dopo la pubblica dichiarazione resa dal premier a fine dicembre di essere “a disposizione delle Istituzioni”, è evidente che il dovere di un’assunzione esplicita di responsabilità investe soprattutto le forze politiche.

Fra queste la Lega annuncia di preferire che Draghi resti a Palazzo Chigi mentre sul Quirinale il suo leader sposa, a parole, l’ipotesi di Silvio Berlusconi. Peraltro, Matteo Salvini non colloca questo nome in una rosa da proporre formalmente agli altri gruppi, come in passato è accaduto per scongiurare che il confronto si trascinasse troppo a lungo o sfociasse in un’elezione di stretta misura. Prospettive, entrambe, che sarebbero disastrose per l’Italia di oggi.

Anche il Partito Democratico si avvia alla scadenza del 24 fra tensioni interne e incertezze. La sua strategia risulterà forse più leggibile dopo giovedì 13, quando si riunirà la Direzione. Enrico Letta ha protratto a lungo l’avvio della discussione; ora sembra orientato a chiedere che il voto per il Quirinale si leghi al rinnovato impegno, da parte degli altri partner, del patto di governo oggi operante.

Non si comprende se al Segretario del Pd sfugga un punto chiave dello scenario attuale o se lo ignori per un calcolo che sarebbe mediocremente furbesco. Letta, infatti, non può trascurare che il Governo Draghi è nato sulla base di un patto “di salvezza nazionale” stipulato da partiti fra loro ostili e concorrenti per sostenere l’emergenza sanitaria e per assicurare piena realizzazione al Pnrr. Ma questa esigenza dura tuttora e, anzi, per la lotta al Covid è diventata ancor più pressante. Mettere questi temi in cima alla trattativa per il Quirinale si traduce perciò, consapevolmente o meno, in una spinta a che Draghi resti a Palazzo Chigi, dunque il contrario dell’obiettivo dichiarato dallo stesso Letta: di favorire il trasloco del Premier sul colle più alto.

Si può inoltre osservare che la richiesta che la maggioranza che sostiene l’Esecutivo coincida con quella che eleggerà il nuovo Capo dello Stato, cioè un’istituzione di garanzia, non appare, sotto il profilo costituzionale, una pretesa appropriata. Una maggioranza di governo è sempre esposta, nella fisiologia parlamentare, alla possibilità di una crisi; quella che porti a eleggere il Presidente della Repubblica ha invece natura diversa: i due schieramenti possono anche, in via di fatto, coincidere; ma immaginare l’una come il prerequisito dell’altra risulterebbe una forzatura.

Se davvero si ritiene – prospettiva del tutto plausibile – che sia opportuno che Draghi succeda al Presidente Mattarella, sarebbe preferibile sostenere questa ipotesi con motivazioni più solide e di più ampio respiro. Tenendo magari conto che lo stesso Premier ha dichiarato che sarebbe sostituibile senza danno per il Paese. Che si punti su Draghi o meno, una strada che sarebbe utile imboccare, nell’interesse generale, sembra comunque quella di gettare le basi di un Patto costituzionale.

Il Paese, dopo le dure prove sopportate negli ultimi due anni, mostra più che mai tre esigenze volte a creare le condizioni affinché l’Italia conti di più in Europa: stabilità dell’azione di Governo; rappresentatività degli eletti; maggiore funzionalità del Parlamento che, con il prossimo voto, vedrà ridotto fortemente il numero dei suoi componenti. Le scelte per cogliere questi obiettivi, mature da tempo, sono state sinora colpevolmente trascurate. Eppure, hanno nomi precisi: sfiducia costruttiva dell’Esecutivo; una legge elettorale con la quale i cittadini contino di più; una revisione dei Regolamenti parlamentari e della struttura delle Camere che impediscano ricadute negative della riduzione ormai deliberata.

Se su questi obiettivi si riuscisse a definire una piattaforma d’intesa la più ampia possibile fra i Grandi elettori e a individuare una personalità che, per il suo profilo, ne possa risultare il garante ideale, forse la strada verso il 24 gennaio risulterebbe meno impervia senza che vi sia pregiudizio per il futuro e libero svolgimento della battaglia politica. La partita del Quirinale – che le circostanze purtroppo impongono di affrontare sotto i colpi di Omicron e in un Paese lacerato, affaticato e in ansia – non può ridursi a una gara che crei un fossato fra vincitori e vinti. Deve, piuttosto, aiutare l’Italia in un momento drammatico della sua storia e fugare, il più rapidamente possibile, ogni rischio di caos.

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