Il fallimento totale dei leader politici in campo si configura in una telefonata. Quella che il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato costretto a fare al Presidente della Repubblica uscente, Sergio Mattarella, per chiedergli di restare al Quirinale contro la sua volontà. Dopo sei giorni di trattative, sette votazioni e almeno cinque nomi di spicco bruciati sull’altare dell’incomunicabilità e dell’egocentrismo politico, quella chiamata è diventata l’ultima spiaggia per salvare il Paese, per tirarlo fuori dallo stallo e dall’incertezza in cui la politica lo ha irresponsabilmente catapultato, non essendo in grado di eleggere il nuovo Capo dello Stato e, contemporaneamente, riuscendo nell’impresa di indebolire uno dei Governi più stabili e credibili della storia d’Italia.
Sul banco degli imputati c’è soprattutto Matteo Salvini, autoproclamatosi “regista” di questa elezione che, dopo aver bruciato un nome dopo l’altro, è stato costretto a piegarsi a un’ipotesi che aveva sempre escluso e a contribuire alla definitiva dipartita della coalizione di centrodestra. Non va meglio a Giuseppe Conte, incapace di tenere le fila di un Movimento 5 Stelle spaccato a metà, il cui apporto è stato quello di bruciare il nome di Elisabetta Belloni e di sbarrare ripetutamente la strada a una possibile ascesa del Premier Draghi al Quirinale. Non ne esce bene nemmeno Enrico Letta, che nonostante l’ottimismo espresso nella serata del 29 gennaio, non è mai sembrato veramente capace di prendere in mano la situazione. Il segretario del Pd può però almeno rivendicare il fatto che al Quirinale continuerà ad esserci un ex esponente del suo partito.
Dopo la telefonata del Premier, non saranno i leader politici, ma i capigruppo, in nome di un Parlamento che da giorni manda segnali dal basso ai partiti, ad andare da Mattarella per pregarlo di non abbandonare il Paese nelle mani di una politica allo sbando.
E mentre con il passare delle ore tutti i partiti stanno cercando di trasformare una sonora sconfitta in una vittoria, intestandosi il merito di aver convinto il Capo dello Stato a fare un altro settennato, appare chiaro come proprio la politica esca con le ossa rotte da questa elezione, alle prese con una profonda crisi di rappresentanza che tutte le forze politiche dovranno affrontare prima della fine della legislatura e delle elezioni politiche del prossimo anno.
L’intesa sul Mattarella Bis è stata raggiunta nel corso di un vertice di maggioranza tenutosi a metà mattinata. “Gli italiani non meritano altri giorni di confusione. Io ho la coscienza a posto, ho fatto numerose proposte tutte di alto livello, tutte bocciate dalla sinistra. Riconfermiamo il presidente Mattarella al Quirinale e Draghi al governo, subito al lavoro da oggi pomeriggio, i problemi degli italiani non aspettano”, ha sentenziato Matteo Salvini alla fine dell’incontro, arrampicandosi sugli specchi per giustificare i suoi ripetuti dietrofront. L’intesa su Mattarella è una grandissima gioia”, ha detto invece il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, lasciando la riunione.
Unica voce fuori dal coro è quella di Giorgia Meloni, leader dell’unico partito di opposizione: “Sarei stupita se Mattarella accettasse di essere rieletto Presidente della Repubblica dopo aver fermamente e ripetutamente respinto questa ipotesi. Fratelli d’Italia – si legge in una nota – non asseconderà questa scelta che non appare fatta nell’interesse dell’Italia, ma piuttosto per molto più bassi calcoli di opportunità”.
Proprio al Premier Draghi è stata affidata la regia dell’operazione. Il Presidente del Consiglio ha prima parlato con Mattarella e poi contattato i leader di tutti i partiti (ma anche quelli delle singole correnti) per assicurare la più ampia convergenza possibile. A parlare direttamente con il Presidente della Repubblica è stato Silvio Berlusconi, garantendo il sostegno di Forza Italia alla sua rielezione.
Mentre fuori dal Parlamento si giocava la partita vera, dentro le mura di Montecitorio si teneva la settima votazione per l’elezione del Presidente della Repubblica. Ancora una volta il segnale dei Grandi Elettori è stato chiarissimo: a fronte delle indicazioni dei maggiori partiti – astensione e scheda bianca – su Sergio Mattarella sono confluiti 387 voti. 64 le preferenze accordate all’ex magistrato Nordio, votato da tutti gli esponenti di Fratelli d’Italia. Al magistrato antimafia, Nino Di Matteo, sono andati 40 voti, 10 per Casini e 8 per Belloni.