X

Quel Ferragosto di quarant’anni fa, quando Nixon mise fine alla convertibilità del dollaro in oro

Non si sa perché, ma spesso le crisi finanziarie esplodono durante l’estate. Personalmente ne ho vissute diverse. Ma la prima, quella più importante, da cui discendono in parte, anche i problemi che stiamo vivendo in questi giorni, esplose proprio il 15 agosto di quarant’anni fa quando il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon (quello che poi sarebbe stato costretto a dimettersi per la crisi del Watergate) proclamò la non convertibilità del dollaro in oro. Dal 1944, cioè da quando in piena guerra, una Conferenza internazionale di esperti di economia e finanza riuniti a Bretton Woods, aveva fissato le regole per dare impulso ad una ordinata espansione degli scambi internazionali, il dollaro era la moneta di riferimento a cui erano legate con cambi fissi tutte le altre monete, mentre il dollaro stesso era agganciato all’oro al prezzo anch’esso fisso, di 35 dollari all’oncia.

Questo sistema aveva certo favorito una grande espansione degli scambi internazionali e quindi incentivato lo sviluppo di tutti i paesi,per lo più occidentali, che ne facevano parte. Però un simile sistema aveva dato al dollaro il potere enorme di non essere sottoposto ad alcun vincolo di bilancia dei pagamenti (come invece erano gli altri paesi) perché era usato come moneta di riserva da tutti gli altri Stati. Ciò permetteva al Tesoro degli Stati Uniti di stampare tutti i dollari di cui aveva bisogno e collocarli poi nel  resto del mondo.

Il presidente francese, il Generale De Gaulle, già all’inizio degli anni ’60 cominciò a dire che i dollari in circolazione erano troppi e a chiedere la conversione in oro delle riserve detenute dalla Banca di Francia. Con il passare del tempo i dubbi sulla effettiva capacità degli Usa di far fronte a tutte le richieste di conversione in oro dei dollari in circolazione,aumentarono notevolmente e tanti Stati, magari senza fare polemiche, cominciarono a chiedere la conversione delle proprie riserve di dollari. La situazione si fece esplosiva quando le esigenze della guerra del Vietnam,imposero agli Stati Uniti la necessità di stampare sempre più dollari che furono immessi sui mercati mondiali per comprare da ogni angolo del globo le merci necessarie a soddisfare l’immenso fabbisogno dell’esercito americano.

Io come giovane redattore appena arrivato alla redazione milanese de Il Sole 24 Ore, ero, così come la gran massa delle persone, largamente inconsapevole, della gravità della situazione finanziaria internazionale, ed ero  partito pochi giorni prima con la mia Fiat 127 per una breve vacanza sul Gargano, un posto allora piuttosto selvaggio e poco valorizzato dal punto di vista turistico. Il viaggio era lungo e si doveva fare in auto senza aria condizionata, con i finestrini semiaperti e quindi con il rischio di torcicollo sempre in agguato. Le comunicazioni, erano piuttosto rudimentali rispetto ad oggi. Non c’era internet, non c’erano i cellulari, gli alberghi non avevano la TV in tutte le camere. La radio quando si trattava di notizie economiche, dava informazioni in forma assai  stringata, quasi temesse di sporcarsi le mani con questioni di soldi. Appresi quindi la decisione di Nixon la mattina del 16 agosto da frammentarie notizie radiofoniche, dalle quali, anche per mie carenze culturali, non riuscii a capire esattamente quello che era successo, e soprattutto quali avrebbero potuto essere le conseguenze sui mercati finanziari( allora mi occupavo soprattutto di Borsa e di obbligazioni) e su quelli dei cambi. Poi, una volta trovato un telefono pubblico attrezzato per le chiamate interurbane, riuscii a mettermi in contatto con il giornale e con il mio capo di allora, Alfredo Recanatesi, con il quale concordai i tempi del mio rientro che, considerato lo stato delle strade e del mio modesto mezzo di trasporto, non furono certo fulminei.

Ebbero inizio da allora anni di turbolenze sui mercati dei cambi, una stagnazione delle economie accompagnata da alta inflazione ( che fu chiamata Stagflazione),ristrutturazioni aziendali,con conseguente disoccupazione, malessere sociale, e in certi Paesi, come l’Italia, un diffuso e violento terrorismo che per un decennio insanguinò le nostre città. Senza fare la storia di tutte le crisi che abbiamo vissuto fino ad oggi, si può certo trarre dal passato qualche insegnamento  che può essere valido in questi giorni, quando in seguito ad una crisi  di fiducia sul nostro debito pubblico,dobbiamo affrontare una ennesima stangata fiscale.

Il primo luogo un paese relativamente ricco come l’Italia può, se raggiunge una certa coesione nazionale verso un obiettivo, farcela  ancora una volta. Quindi ci vuole un po’ di ottimismo e la capacità di rimboccarsi le maniche per fare sempre meglio quello che sappiamo fare.

In secondo luogo appare sempre più evidente che, quarant’anni fa come oggi, è l’imprevidenza dei Governi la vera causa delle crisi. Nessun Governo ha il  coraggio di frenare al momento giusto l’economia ed evitare che la bolla esploda. Si dice oggi che è colpa dei mercati se c’è una crisi del debito italiano e di quello greco e spagnolo. Ma sono proprio gli speculatori che hanno creato gli squilibri di bilancia dei pagamenti o di ammontare del debito che oggi molti operatori rifiutano di continuare a finanziare? Il dollaro, anche se non è più legato all’oro, si basa sulla forza dell’economia americana. Ma se questa viene messa in dubbio dalla incapacità del Governo di  sanare i deficit gemelli del bilancio federale e della bilancia commerciale, cosa devono fare gli investitori per salvaguardare il loro patrimonio? E così per l’Italia. Dopo tanti anni di stagnazione e dopo aver constatato che manca la volontà da parte del Governo di affrontare quelle  riforme capaci di innalzare il nostro potenziale di crescita, non  si può pretendere che  i risparmiatori continuino ad avere fiducia nella  capacità del nostro paese di rimborsare il proprio enorme debito pubblico.

In Italia poi abbiamo un eccesso di livelli di governo. Non si può decidere nulla,oppure le cose che si possono fare provocano altri problemi. La politica poi è ridotta a teatrino senza nemmeno la capacità di far ridere. Dobbiamo sentire Bossi che si rompe i “coglioni” alle riunioni con Berlusconi. E cosa  dovremmo dire noi che siamo le vittime di quelle decisioni prese in riunioni così lunghe e noiose? Possiamo solo esprimere l’augurio che ,ancora una volta come quarant’anni fa, la stangata di Ferragosto non piegherà il nostro ottimismo e la nostra volontà di ricostruire un paese prospero ma  più sano ed equilibrato.

Related Post
Categories: Interviste

View Comments (2)