Il mondo non trova pace. Agli sgoccioli di una lunga estate rimangono aperti ancora quattro fronti di guerra, quattro pezzi di Terra squassati da lotte senza fine che non accennano a placarsi: da Gaza all’Ucraina, passando per Iraq, Siria e Libia.
Non si placano, infatti, gli scontri nella Striscia, dove proseguono i raid aerei dell’esercito israeliano. Sarebbero sette le vittime di questi ultimi attacchi, con il tassametro, che dopo il breve cessate il fuoco, ha ripreso a correre e segna oltre 2100 morti palestinesi dall’inizio delle ostilità.
La risposta di Hamas non si è fatta attendere: diversi colpi di mortaio sono stati sparati da Gaza verso il valico di Erez, principale punto di transito fra Israele e la Striscia. Diversi i feriti, mentre è notizia di due giorni fa che Hamas ha giustiziato pubblicamente 18 presunte “spie collaborazioniste”.
Una spirale di violenza che sembra destinata a proseguire, stando anche alle parole del premier israeliano Benyamin Netanyahu, secondo cui l’operazione “Margine protettivo” potrebbe proseguire anche dopo il primo di settembre: “Hamas continuerà a pagare un alto prezzo per i crimini commessi. Chiedo ai residenti di Gaza di lasciare immediatamente qualsiasi struttura da cui Hamas svolge attività contro di noi. Tutti i siti come questi sono per noi degli obiettivi”.
Ma il fronte più caldo, da qualche giorno a questa parte, e quello su cui sembra essersi concentrata la maggiore attenzione della stampa occidentale, è quello che si è aperto in Iraq e in Siria, in seguito alla decapitazione del reporter statuinitense James Foley da parte dei terroristi dell’Isis. Un evento che ha avuto un impatto profondo anche sull’Occidente, scioccato dalle immagini della morte di Foley e spaventato dalla possibilità di attacchi terroristici.
E se il cerchio intorno al killer di Foley si sta lentamente stringendo (si tratterebbe, secondo la stampa britannica, dell’ex rapper londinese Abdel Majed Abdel Bary), gli scontri che divampano in Siria e Iraq proseguono senza sosta. I jihadisti dello Stato islamico hanno, infatti, conquistato ieri l’aeroporto di Taqba al termine di una lunga battaglia con l’esercito siriano, che ha mietuto oltre 500 vittime tra entrambi gli schieramenti.
E proprio dalla Siria è arrivato oggi l’apertura del ministro degli esteri di Damasco walid al Muallim ad una collaborazione del governo siriano con Usa Gran Bretagna. Damasco sarebbe favorevole ad azioni militari contro l’Isis sul proprio territorio, a condizione, però, di un pieno coordinamento con il governo siriano.
La violenza sembra non avere confini e tocca anche la Libia. A tre anni dalla fine del regime di Muhammar Gheddafi lo stato nordafricano è un gigante senza padroni, dove l’unico regnante è il caos. Manca un governo, il Parlamento è delegittimato e ampie porzioni di territorio sono in mano ai miliziani, che rallentano anche lo sfruttamento della maggiore risorsa economica del Paese, il petrolio.
Gli scontri hanno messo a fuoco le maggiori città libiche, ovvero Tripoli e soprattutto Bengasi. Anche qui i miliziani islamici di Misurata (città a 200 chilometri ad est di Tripoli) rivendicano la conquista di un aeroporto di grande importanza strategica, quello della capitale.
In Ucraina, infine, si registrano le nuove accuse delle autorità locali, secondo cui “alcune decine di carri armati e veicoli blindati’ russi avrebbero attraversato la frontiera nei pressi del mar d’Azov, ingaggiando una battaglia, che sarebbe ancora in corso, con le forze ucraine poste a sorveglianza del confine.
Intanto, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha annunciato che un secondo convoglio umanitario sarà inviato in territorio ucraino.