Centinaia di morti, di cui molti civili, e centinaia di migliaia di sfollati, cioè il preludio di una vera e propria emergenza umanitaria che sarà solo parzialmente risolta col cessate il fuoco concordato ieri tra Turchia e Usa (e che Ankara ha definito solo “una pausa”): il bilancio dell’attacco dell’esercito turco nella striscia di terra al Nord della Siria che fino al 6 ottobre era presidiata dalle truppe Usa e dove risiede il popolo curdo (protagonista della battaglia – fino ad oggi vinta – contro lo Stato islamico), è già drammatico. Il presidente Recep Tayyip Erdogan covava da mesi l’idea di occupare quel territorio dove ricollocare gli oltre 3 milioni di profughi siriani: una mossa che creerà ulteriore scompiglio in un’area già caldissima del Medio Oriente, aprendo la strada al ritorno dell’organizzazione terroristica Isis.
In tutto questo, la comunità internazionale prova a prendere una posizione forte: mentre il presidente Donald Trump lascia l’area al suo destino, l’Ue si compatta nel condannare Erdogan e molti Paesi tra cui l’Italia (di cui la Turchia è il terzo importatore di armi, con ordini per 360 milioni di euro solo nel 2018) hanno annunciato di voler interrompere i rapporti commerciali di tipo militare con Ankara. Se questo basterà, e quali sono gli scenari futuri in Siria, lo abbiamo chiesto a Lia Quartapelle, capogruppo del Partito Democratico alla Commissione Esteri della Camera e ricercatrice del think tank di studi sulla politica internazionale ISPI.
Onorevole, come valuta l’accordo raggiunto tra Usa e Turchia per il cessate il fuoco in Siria?
“Vediamo se reggerà. Se dovesse essere istituita una missione di interposizione sul modello del Libano del 2006, credo che l’Europa debba fare la sua parte”.
Intanto l’Italia ha già disposto il blocco alla vendita delle armi alla Turchia: cosa succede adesso e quanto questo provvedimento sarà efficace per isolare Erdogan?
“E’ in corso un’istruttoria del ministero per interrompere tutti i contratti, anche quelli in essere, in osservanza della legge n. 185 del 1990 secondo la quale al nostro Paese è vietato vendere armi a Paesi che dichiarano guerra. E’ un primo importante segnale, e sappiamo che in politica estera contano molto i simboli”.
Molti però diranno che intanto le armi gliele abbiamo già vendute…
“Se non le avessero comprate da noi, lo avrebbero fatto da altri. Adesso sono importanti due cose: lo stop immediato dei contratti in essere, una volta verificate le condizioni di recesso (che potrebbero comportare penali), e l’interruzione della missione internazionale Active Fence, che era concepita per proteggere il confine meridionale turco dall’attacco siriano e che ora ovviamente non ha più ragione di esistere”.
Si parla anche di possibili sanzioni economiche, mentre il presidente dell’Europarlamento David Sassoli ha chiesto che venga subito interrotto il discorso di un ingresso della Turchia nell’Ue. Che cosa ne pensa?
“Alle sanzioni economiche preferisco quelle di tipo militare. In questi giorni si parla anche di boicottare i prodotti turchi, ma ha poco senso: la Turchia non è solo Erdogan, è tante cose, tra gli imprenditori ci sono anche oppositori del regime. Per lo stesso motivo non sono d’accordo sul fermare il processo di integrazione di Ankara nell’Ue: l’opposizione turca è filo-europea e così finiremmo per chiudere la porta in faccia agli oppositori di Erdogan, che invece vanno sostenuti. Piuttosto aprirei una seria discussione in ambito NATO, per prendere provvedimenti nei confronti della Turchia”.
Erdogan aveva minacciato l’Ue di aprire le frontiere e far entrare oltre 3 milioni di profughi siriani nel nostro continente…
“I profughi sono un pretesto, non sono mai stati il vero problema. Anzi fino a pochi mesi fa Erdogan avrebbe anche voluto dargli la cittadinanza turca, in cambio di voti per aumentare il proprio consenso”.
E’ ipotizzabile un intervento militare della comunità internazionale?
“Di chi? Gli Stati Uniti si sono appena ritirati, l’Europa non è intervenuta quando avrebbe dovuto, a presidiare l’area e a dar man forte è rimasta solo la Russia. L’Europa ha perso l’occasione qualche mese fa, quando lo stesso Trump le chiese di stanziare truppe a Nord della Siria: avremmo dovuto farlo, col senno di poi avremmo dovuto dire di sì 100.000 volte. Il presidente americano lo chiese anche all’Italia, ma eravamo agli albori della crisi di governo: da deputata feci anche un’interrogazione parlamentare, che però finì nel nulla. All’epoca eravamo all’opposizione, ma se la discussione avesse preso piede il Pd avrebbe dovuto dare il consenso, secondo me”.
L’impegno di Europa e Italia è a suo giudizio sufficiente?
“Quello che si sta facendo è un buon primo passo, purtroppo non ci sono gli strumenti per fare di più: in Europa non c’è nemmeno un esercito comune”.
Ora cosa succede in Siria? Torna il rischio Isis?
“Il rischio che l’Isis si riorganizzi è molto pronunciato. Nel territorio curdo ci sono 12.000 prigionieri dello Stato islamico e purtroppo non credo che i curdi abbiano ancora i mezzi e la possibilità di tenerli a bada, né credo che questo sia nelle intenzioni della Turchia. E poi c’è il grande punto interrogativo sul processo di ricostruzione della Siria: come lo farà, in questa situazione?”.
A uscire rinforzata da questa vicenda è dunque la Russia di Vladimir Putin?
“Sì, perché Trump ha ritirato le truppe, facendo fede a una sua promessa elettorale e nel tentativo di strizzare l’occhio alla Turchia e isolare l’Iran, ma così facendo ha perso credibilità nei confronti di quelli che sono stati e potevano ancora essere preziosi alleati in Medio Oriente, come i curdi. Adesso difficilmente i Paesi che combattono il terrorismo si fideranno di Washington e saranno disposti a collaborare per risolvere i problemi che stanno a cuore agli Stati Uniti e al mondo occidentale. Più facilmente si fideranno di altri alleati, come la Russia”.
Il presidente Sergio Mattarella ha fatto visita a Trump, incalzando il presidente Usa anche sulle questioni internazionali. Come giudica i toni e i contenuti dell’incontro?
“Mattarella è stato molto bravo, molto coraggioso. Ha esposto le ragioni dell’Italia di fronte a un presidente i cui metodi non hanno davvero precedenti”.
Mentre Italia ed Europa puntano giustamente il dito contro Erdogan, al largo delle coste italiane continua a consumarsi un’altra strage, quella dei migranti. Negli ultimi giorni sono arrivate altre immagini terribili: col nuovo governo giallorosso cambierà l’approccio?
“Sì, stiamo lavorando sulla Libia per vedere come risolvere la questione”.