Ci sono parole che non significano nulla, o quasi. Espressioni formulari, come quelle con cui gli aedi greci riempivano i buchi nella memoria prima dell’invenzione della scrittura, vuote di significato, ma piene soltanto di un potenziale evocativo che rimane allo stadio liminale: di pura evocazione, appunto. Ne è pieno il giornalismo, e anche la politica.
A raccogliere tutte queste espressioni, dette “di salvataggio”, è un agile volumetto scritto da Claudio Nutrito ed edito da Novecento editore, intitolato, significativamente, “Quant’altro”. Perchè proprio “quant’altro”, insieme ai suoi consimili, è uno dei capofila di questa nuova tradizione orale: quelle delle parole dette quando non si ha niente da dire, ma si vuole dirlo comunque.
Parole-armature, o scudi, dietro cui nascondere il vuoto. “Vestiti sotto cui nascondere il niente”, come scritto da Paolo Di Stefano sul Corriere della sera di oggi. Espressioni vacue e vaghe, buone soprattutto per strappare un applauso, più o meno, convinto, a un talk show o a un comizio, oppure tra amici.
“Quant’altro” è quasi una guida, venata da un sottile cinismo e da una profonda satira, per riconoscere, e utilizzare, queste espressioni. Oltre alla formula eponima, che serve per tagliare corto quando si deve elencare qualcosa, ma, allo stesso tempo, lasciar intendere di saperla lunga sull’argomento, la schiera è folta.
Ci sono “sensibilità”, “solidarietà” e “sostenibilità”, per esempio, che ormai, più che avere un significato reale, sono solo l’immagine di copertina del buon samaritano, il distintivo dell’uomo cosciente e coscienzioso. Oppure “monitorare”, o “a chilometro zero”, o, meglio ancora, “a misura d’uomo”, come sono certi vestiti, certe leggi e certe città (spesso straniere, se non di provincia). Certe parole, invece, lo sono sempre di meno.