C’è un saggio, uscito di recente, costruito in gran parte su vicende di anni lontani, che però torna utile anche per orientarsi davanti a questioni oggi drammaticamente aperte. Si intitola “Quando eravamo liberali e socialisti” (Rubbettino editore) e l’ha scritto Guido Compagna, giornalista per più di 30 anni a “Il Sole 24 Ore”, dopo aver lavorato a “La Voce repubblicana” e collaborato ad altre testate.
Nella prima parte del volume, protagonista è una certa Napoli: la sua città natale, fatta rivivere con la sguardo di un ragazzino sveglio che, già a otto anni, interroga il padre Francesco sui partiti e sulle elezioni. Ne riceve risposte che hanno seminato un interesse (e una passione) coltivata poi per sempre.
Quella Napoli era immersa nei mali e nei conflitti che segnano la sua storia, ma era anche dotata di un mondo, dell’intellettualità e delle professioni, al quale la famiglia Compagna apparteneva. Un mondo che aveva una autorevolezza e una capacità d’influenza oggi molto scemate, dove era ancora forte l’impronta del lascito culturale di Benedetto Croce e nel quale un erudito acuto e ironico come Gino Doria trovava ascolto quando prendeva di mira il folclore di cattiva qualità che involgariva usi e costumi del luogo.
Napoli allora era più povera rispetto a quella di oggi, ma fortemente presente nel dibattito pubblico nazionale: la politica o, più ancora, il confronto fra le culture politiche era, per quel mondo, pane quotidiano del quale fu perciò naturale che, ben presto, cominciasse a nutrirsi il giovane Compagna, come del resto suo fratello Luigi.
Come? Guido lo racconta in pagine di “cronache familiari”, non sempre tranquille, che sono fra le più felici ed emotivamente intense del volume. Si coglie la profondità del rapporto dell’autore con il padre, Francesco Compagna, autorevole meridionalista e docente universitario di spirito innovativo. A lungo, in seguito, deputato per il Pri e più volte ministro.
Compagna padre nel 1954 aveva fondato il mensile “Nord e Sud”, che diresse sino alla morte, avvenuta prematuramente nel 1982. La rivista era un punto di riferimento per il mondo liberal-progressista a Napoli e non solo. Compagna, animato da una passione civile profonda, sosteneva con forza le sue idee: avversario deciso dei comunisti lo era, altrettanto risolutamente, della destra conservatrice. Per anni Compagna condusse una lotta senza quartiere contro Achille Lauro senza farsi intimidire dal vasto consenso elettorale che l’armatore monarchico riscuoteva a Napoli e nel Mezzogiorno.
Non deve essere stato facile, per il figlio, rispetto a una figura di tale spessore, scegliere di percorrere una strada diversa.
Guido ci riesce perché ha uno spirito che sa essere tanto critico quanto autocritico, tanto ironico quanto autoironico; le sue convinzioni, inoltre, lo spingono verso un’area, quella del socialismo autonomista di Pietro Nenni, che, pur diversa da quella liberal-progressista e in seguito repubblicana del padre, aveva con essa una larga condivisione di valori.
Gli anni del più diretto impegno di Guido fra i giovani socialisti, del resto, sono proprio quelli che preparano e poi accompagnano la stagione del centrosinistra, segnata da limiti e contraddizioni ma anche da rilevanti conquiste in molti campi: dai diritti civili a quelli del lavoro, dall’istruzione obbligatoria alla nascita dell’Enel.
Gli entusiasmi di quella stagione sono però presto soverchiati dalle delusioni. La più forte, per Guido, è il fallimento dell’unificazione Psi-Psdi.
Da qui la scelta di lasciare la militanza di partito e dedicarsi al giornalismo. La sua formazione la compie nella redazione della rivista del padre; ma non perde interesse per la politica della quale diventa, invece, un osservatore professionale.
Segue così la tortuosa evoluzione del sistema politico italiano, i grandi conflitti del lavoro, i tragici anni di piombo e quelli, tempestosi, di tangentopoli, sino al crescere, in anni a noi più vicini, dell’astensionismo elettorale e degli umori antiparlamentari. Avvenimenti tutti che, da cronaca vissuta quotidianamente diventano, nel saggio di Compagna, materia per una riflessione equilibrata e, a tratti, sofferta.
Ferisce l’autore notare l’assenza, nell’Italia di oggi, di partiti “solidi e ben ramificati” che pur avevano a lungo fatto da tramite tra le attese dei cittadini e le risposte delle istituzioni. Preoccupazione più che fondata, alla base della quale, si può tuttavia osservare, stanno errori e ritardi dei quali i partiti stessi o, meglio, la maggior parte fra loro, sono responsabili. E si tratta di mali molto antichi.
Proprio dalle pagine di “Nord e Sud” – Guido era ancora un liceale – Vittorio De Caprariis denunciava lo strapotere degli apparati dei partiti, la loro invadenza nella società e le cattive leggi elettorali: un groviglio tossico che, avrebbe – prevedeva il grande storico – corroso le fondamenta della nostra democrazia parlamentare e condotto le forze politiche, discreditate, davanti al “muro del pianto”.
L’allarme di De Caprariis fu sottovalutato. Le proposte per sventare quei pericoli, avanzate da lui e da altri studiosi entrarono in una “lista d’attesa” che resta largamente inevasa, dopo 60 anni. Riforme istituzionali e legge elettorale periodicamente tornano nel dibattito politico ma, sinora, senza esito. Il tema ha animato annosi dibattiti o è diventato merce di scambio per calcoli miopi: in definitiva tante occasioni perdute.
Le Camere, nota il politologo Mauro Calise, “durante l’emergenza sanitaria sono diventate afone” e cresce la distanza fra cittadini e Parlamento. Non sorprende che, in uno scenario del genere, trovino spazio imbonitori e populisti di varia risma. Intanto la “brutta destra”, che allarma Compagna (e non solo), può contare su estesi consensi elettorali. Sin dove giungerà questa deriva? Difficile prevederlo.
Gioverebbe, comunque, una sinistra più capace di fare sintesi e più decisa nel rifiuto di utopismi senza costrutto. Nel secolo che stiamo vivendo quest’area esita ancora fra un’azione riformatrice, da perseguire concretamente vista la crisi epocale che sta investendo Italia ed Europa, e il richiamo per vecchi miti (ritorno allo Stato assistenziale e imprenditore, ostilità all’impresa, “golden power” a pioggia) forse generatori di consenso ma inadatti a sciogliere i nodi che frenano il rilancio del Paese. Sostare davanti un bivio del genere ingenera fatalmente disorientamento.
Il fumettista Zerocalcare, di grande successo specie fra i giovani, intervistato da “Repubblica” (29 maggio) afferma con forza di sentirsi parte “di un movimento per la giustizia sociale e la solidarietà fra i popoli”. Alla domanda “come si traduce questo sentimento davanti alla scheda elettorale?”, però risponde: “Boh”.
Anche per questo fa bene leggere un libro come quello di Guido: il racconto di un ragazzo italiano che è cresciuto attraverso le sue scelte, sostenendo, se necessario, il prezzo per compierle. E che non ha mai detto: “Boh”.