Negli ultimi mesi lo scenario energetico è molto cambiato. Il mondo sembrava avviato verso un deciso rilancio del nucleare, sia per diversificare le fonti di approvvigionamento, sia per disporre di una fonte energetica esente da emissioni di Co2. Il problema del costo era dibattuto: l’ energia prodotta dalle centrali nucleari ora in esercizio è sicuramente molto competitiva, ma quella delle nuove centrali, molto più costose, è ancora un’incognita. Tuttavia il nucleare è una fonte energetica con un costo praticamente fisso per tutta la durata della centrale (dato il peso pressoché irrilevante del combustibile sul costo dell’energia ) e questo avrebbe fatto nel lungo termine tornare i conti.
L’ incidente di Fukushima ha cambiato profondamente questa prospettiva in molti paesi: l’ Italia con il referendum ha cancellato la possibilità di disporre di un 25% di generazione elettrica nucleare e la Germania, che già oggi produce il 25% dell’elettricità con il nucleare, ha da subito chiuso alcune centrali ed ha programmato il phase out delle rimanenti entro il 2020. Altri Paesi hanno preso decisioni meno drastiche, ma introducendo una moratoria hanno di fatto allontanato la prospettiva di un “rinascimento nucleare”, come veniva chiamato solo un anno fa. Quale fonte di energia prenderà il posto crescente che avrebbe dovuto essere del nucleare nel mix energetico mondiale?
Molti prevedono una “golden age ” del gas. Il gas infatti ha molte frecce al suo arco. E’ una fonte relativamente abbondante, con riserve che superano i cento anni di consumo. Ha una distribuzione geografica diversificata e meglio ripartita, da un punto di vista politico, rispetto al petrolio. Con lo sfruttamento del gas ottenuto da scisti (lo shale gas) nuove immense riserve si renderanno disponibili, in Usa e forse in Europa. Inoltre il gas ha emissioni limitate di Co2 ,la metà di quelle del carbone. Insomma il gas sembra l’elemento imprescindibile della ricetta energetica dei prossimi 10 o 20 anni.
Il piano energetico italiano dovrebbe essere presentato entro fine anno, dovrà contenere la risposta riguardante il mix energetico dopo il tramonto della prospettiva nucleare. Ma non è solo l’abbandono del nucleare la novità di cui dovremo tener conto. Infatti la crisi economica generale ha di molto ridotto la prospettiva di crescita della domanda: ai ritmi previsti di evoluzione del Pil la domanda elettrica potrebbe ritornare al livello ante crisi solo alla fine di questo decennio se gli obiettivi di risparmio energetico (-20% entro il 2020) saranno raggiunti.
E’ bene ricordare che gli obiettivi Ue di riduzione delle emissioni di Co2 del 20% entro il 2020 comportano per l ‘Italia , oltre che un risparmio energetico del 20%, il raggiungimento di una quota di rinnovabili sul consumo di energia primaria del 17% ( contro l’ 8% di oggi) che corrisponde ad un target del 26% di rinnovabili nella generazione elettrica, (contro il 20% circa di oggi). Quel 26% di rinnovabili avrebbe dovuto affiancarsi, a medio termine, al ricordato25% di nucleare, creando così un 50% di generazione elettrica esente da emissioni di Co2. Il rimanente sarebbe stato prodotto da fonti fossili: carbone e gas, con il gas confinato a tecnologia marginale in quanto battuto nell’ordine di merito dalle rinnovabili (che hanno priorità di dispacciamento) e sia dal nucleare sia dal carbone in quanto entrambi hanno costi variabili più bassi del gas.
Si pensava tuttavia che un aumento della domanda elettrica dell’1,2-1,5% all’anno avrebbe lasciato spazio sufficiente, a medio termine, anche per gli impianti a gas. Che fare ora, senza nucleare e con una previsione di crescita zero della domanda termoelettrica? la Germania sembra puntare tutto sulle rinnovabili. Nel piano energetico tedesco, presentato prima di Fukushima, il phase out del nucleare, già allora previsto, veniva compensato con un utilizzo massiccio delle rinnovabili con l’ obiettivo di arrivare a coprire oltre il 50% della generazione elettrica tedesca con tale fonte. Ora la Germania procederà per quella strada in termini ancor più perentori. Per l’Italia il candidato naturale a rimpiazzare il nucleare sembra essere il gas.
In fin dei conti oggi il gas già copre il 50 % del fabbisogno elettrico nazionale. Sarebbe quindi sufficiente non prevedere un ridimensionamento del suo ruolo. Non è neppure necessario incrementare la capacità produttiva: disponiamo infatti di un parco di centrali a gas moderno ed efficiente e largamente sottoutilizzato. Si stima infatti che la sovra capacita’ produttiva, dato il basso volume della domanda, sia pari a circa 5000 MW. Inoltre l’ Italia si è candidata da tempo a diventare un “Hub” del gas: data la sua posizione geografica, sta programmando infrastrutture di importazione del gas in eccesso ai propri fabbisogni (Itgi, Galsi, terminale di Porto Empedocle solo per citare i principali progetti) con la prospettiva di esportare il gas in eccesso alla domanda nazionale verso il nord Europa, dove i giacimenti del Mar del Nord si stanno rapidamente esaurendo.
Certo il gas per l’ Italia sembra una scelta obbligata. Tramontata la prospettiva del nucleare, non pare auspicabile un forte investimento in centrali a carbone in totale controtendenza con gli obiettivi di riduzione della Co2. Ed accanto al gas, le rinnovabili, che potrebbero andare anche al di là dell’obiettivo del 26% della generazione elettrica. Infatti a fine 2010 ci siamo accorti, non senza sorpresa, di aver realizzato ben 8000 MW di impianti fotovoltaici, cifra che corrisponde all’obiettivo che l’ Italia si era posta per il 2020! Quindi gli obiettivi complessivi potrebbero essere rivisti al rialzo. Pertanto un mix energetico dominato da gas e rinnovabili sembra essere il nostro futuro E’ questo un futuro auspicabile? Ritengo che una riflessione attenta vada fatta.
Il rischio infatti è che l’ Italia ancora una volta scelga il mix energetico più caro d’ Europa. Prendiamo le rinnovabili. E’ noto che il chilowattora prodotto da rinnovabili e’ più caro di quello prodotto con generazione termica, e che in tutto il mondo la differenza di costo e’ sovvenzionata. Se tutti i Paesi si dotassero di una identica percentuale di rinnovabili, non si avrebbe alcuno svantaggio competitivo. Ma e’ innegabile che in Italia gli incentivi alle rinnovabili siano più elevati che altrove, e questo non può durare.
E’ imperativo disegnare un percorso che porti velocemente gli incentivi ai livelli degli altri Paesi e li annulli progressivamente, stimolando l’ industria produttrice di pannelli solari e pale eoliche a continue riduzioni di costo come è già avvenuto nel recente passato. L’azzeramento degli incentivi sul fotovoltaico e’ ora previsto in Italia per il 2017, ma con il livello attuale di incentivi il volume di investimenti rischia di essere troppo elevato, portando a carico delle bollette per i prossimi anni oneri insostenibili. Anche per quanto riguarda il gas i problemi non mancano.
La crisi di questi anni ci ha insegnato che per l’ Italia l’hub del gas sta funzionando alla rovescia: anziché esportare a nord delle Alpi l’ eccesso di gas causato dal calo della domanda, importiamo gas dagli hub del nord Europa, aggravando i nostri impegni di take or pay, per il semplice fatto che il costo del gas sui mercati spot e’ più basso rispetto a quello dei contratti nostrani di lungo termine, legati al prezzo del petrolio. Con lo sfruttamento massiccio dello shale gas, gli USA sono diventati autosufficienti per i loro consumi, ed hanno azzerato le importazioni di gas liquefatto.
Tale gas si e’ riversato sugli hub del nord Europa, facendo crollare il prezzo spot. Una parte di quel gas e’ stata importata anche in Italia, aggravando la situazione del take or pay e rendendo totalmente antieconomici i contratti legati al prezzo del petrolio, attualmente in fase di difficile rinegoziazione. In questo quadro, il programma italiano di dotarsi di infrastrutture di trasporto in eccesso ai fabbisogni nazionali, con contratti di lungo termine legati al prezzo del petrolio, nella prospettiva di esportare il gas eccedentario in Europa, appare per lo meno velleitario.
In questa ottica, una crescente dipendenza italiana dal gas e dalle rinnovabili non può non destare interrogativi. Gas certo, ma a che prezzo? Al prezzo americano oggi molto competitivo grazie allo shale gas, tanto da sbaragliare tutte le altre fonti di generazione elettrica, compreso il nucleare? O al prezzo degli hub nord europei, più elevato di quello americano ma sempre molto competitivo? Oppure a quello degli attuali contratti di lungo termine oggi fuori mercato? E rinnovabili, certo, ma con quali incentivi e oneri per le future bollette? Mai come in questo momento si sente la necessità di un piano energetico nazionale, che manca in Italia da oltre 30 anni.
Il piano dovrà rispondere a molte domande. Quale sarà la possibile forchetta di domanda energetica al 2020% ? Quanta efficienza energetica programmiamo e di quali strumenti ci dotiamo per realizzarla? Quale mix energetico programmiamo? Quanti impegni di take or pay su contratti gas di lungo termine il nostro Paese può ragionevolmente prendere? Quante nuove infrastrutture di importazione gas sono necessarie al nostro Paese? Quali investimenti in rete per eliminare le congestioni attuali e cosa fare per evitare di crearne di nuove?
Certo, il piano energetico non è un oracolo né può costituire una camicia di forza per le imprese. Ma “la mano invisibile del mercato” è ben lungi dal dare risposte adeguate ai problemi di oggi. In momenti di grandi cambiamenti, una linea guida energetica per il Paese è quanto mai necessaria.